Il Sole 24 Ore

Conti, correzione in sette anni: 72 miliardi di debito in più per il superbonus

Il passivo extra è frenato dalla spesa per interessi, che nel triennio cresce 18 miliardi meno di quanto temuto nel 2023. Giorgetti conferma l’intenzione di chiedere l’estensione del piano negoziato con la Ue

- Gianni Trovati

Alla fine del 2026 il debito pubblico si fermerà un soffio sotto 3.224 miliardi, cioè 72 in più rispetto ai livelli ipotizzati nel Def dello scorso anno. Nel confronto con la NaDef di fine settembre, la differenza è di 38 miliardi abbondanti.

È nella prima cifra, anticipata sul Sole 24 Ore di ieri e certificat­a dalle tabelle del Def pubblicato dal Governo, il riassunto dell’impatto finale ( per ora) del Superbonus sui saldi di finanza pubblica. Figlio del confronto con i calcoli di 12 mesi fa, il numero misura anche l’insuccesso del decreto che a febbraio 2023 avrebbe voluto fermare la corsa dei crediti d’imposta edilizi. Senza riuscirci. L’effetto cresce nel tempo, dopo un 2024 che nei nuovi calcoli vede curiosamen­te il passivo fermarsi 11,2 miliardi sotto l’ipotesi della NaDef.

Attenzione: i 72 miliardi non sono il costo delle agevolazio­ni edilizie, che vola intorno ai 200 miliardi secondo i numeri forniti dal Mef alla Camera martedì ( 219 miliardi di bonus, di cui 16 finora annullati per frodi). Sono il saldo fra il passivo extra rispetto alle attese della primavera scorsa e altre novità intervenut­e nel frattempo, che remano in senso contrario riducendo il colpo. È il caso della spesa per interessi, che nei nuovi calcoli cresce a ritmi meno rapidi di quelli temuti solo pochi mesi fa. Quest’anno la gestione dei BTp costerà 84,8 miliardi, cioè 4,2 in meno (- 4,95%) rispetto alle stime di settembre, e nel triennio 2024- 26 cumulerà 269 miliardi tondi: 18 miliardi meno di quelli indicati dalla NaDef e 8,4 meno dei 277,4 ipotizzati dal Def 2023. L’appuntamen­to con una spesa superiore ai 100 miliardi annui è rimandato al 2027, mentre lo sfondament­o di quota 3mila miliardi per il debito è confermato nel 2025.

Sul deficit si parte dal 7,2% indicato dall’Istat per il 2023 anche grazie all’aumento del deflatore del Pil, senza il quale il quadro sarebbe stato anche peggiore. Sempre che il dato rimanga stabile e non venga rivisto, magari già fra una dozzina di giorni con i numeri di Eurostat ( Oxford Economics ipotizza un valore intorno all’ 8%). Il percorso ufficiale conferma poi il 4,3% per quest’anno e la discesa progressiv­a fino al 2,2% del Pil. Quando i conti dovrebbero anche mostrare un saldo primario da 52 miliardi abbondanti, livelli mai raggiuti nemmeno negli anni della cosiddetta « austerità » .

Ma è lo stesso Def a mettere in chiaro le tante incognite che pesano su questo scenario. A partire dalla « priorità numero uno » secondo lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, rappresent­ata dalla conferma del taglio contributi­vo nel 2025. La replica per il prossimo anno delle misure ora in vigore solo nel 2024, fra cui rientrano anche l’Irpef a tre aliquote, gli sconti ulteriori per le madri di due figli, il canone Rai alleggerit­o e così via, come spiega il Def nello « scenario a politiche invariate » a pagina 56 aumentereb­be il deficit di 9 decimali di Pil nel 2025 e di un punto pieno nel biennio successivo. Tradotto in euro, si tratta di 20 miliardi per il prossimo anno e di 22- 23 nei due anni successivi. Risorse che ovviamente è impossibil­e gestire in deficit senza far crescere ulteriorme­nte il rapporto fra debito e Pil. Tutto dipenderà dal negoziato con la Ue sul piano fiscale struttural­e, che l’Italia chiederà di estendere a sette anni come confermato da Giorgetti nell’introduzio­ne al Def.

Altre nubi arrivano dal contesto internazio­nale. L’Upb, comunicand­o ieri la validazion­e del quadro macroecono­mico costruito dal Governo, avverte che il via libera è scattato « assumendo il graduale venire meno delle tensioni geopolitic­he internazio­nali » oltre alla « piena e tempestiva realizzazi­one del Pnrr » . Ma ancora il Def spiega che « tensioni persistent­i per tutto il 2024 » nel Mar Rosso potrebbero ridurre la crescita reale di quasi due decimali (- 0,18).

L’Upb: stime di crescita valide se si spengono le tensioni geopolitic­he Dal Mar Rosso incognita da - 0,18% sulla crescita

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