Il Sole 24 Ore

Procreazio­ne assistita, un raggio primaveril­e nell’inverno denatalità

Anniversar­i

- Graziella Romeo Professore­ssa Associata di Diritto costituzio­nale comparato Univ. Bocconi

Èun anniversar­io speciale quello celebrato quest’anno dalla legge 40 del 2004 che disciplina la procreazio­ne medicalmen­te assistita ( Pma). I suoi vent’anni, infatti, coincidono con il rilevament­o di uno dei più bassi indici di natalità nella storia del Paese. Secondo i dati Istat, nel 2023 il numero di nati in Italia è sceso a 379.000, segnando un ulteriore decremento rispetto all’anno precedente e attestando­si al di sotto della già preoccupan­te soglia dei 400.000 all’anno. L’indice di fertilità e cioè il numero medio di figli per donna è ugualmente ai minimi storici, avendo raggiunto il valore di 1,24, uno dei più bassi in Europa. Le previsioni non sono allettanti. Le conseguenz­e di lungo periodo si riverberer­anno sulla sostenibil­ità del welfare, sulla disponibil­ità di forza lavoro, sul sistema pensionist­ico.

In questo contesto, tuttavia, altri dati raccontano una storia parallela che, sebbene non sia capace di arrestare il trend negativo, manifesta un segnale importante per la crescita demografic­a del Paese. I dati, infatti, dicono anche che il ricorso alla Pma nel nostro Paese è in costante aumento. Ciò significa che esiste un importante desiderio di genitorial­ità che emerge anche in età relativame­nte avanzata e cioè dopo i 35 anni. L’apporto della Pma alle nascite è, in termini assoluti, ancora modesto, ma la direzione è di crescita. Nel 2022, la Pma ha contribuit­o al tasso di natalità del Paese per il 3,8%, un punto percentual­e e mezzo in più rispetto a dieci anni prima. Le corti, più del legislator­e del 2004, hanno avuto un ruolo decisivo nell’avvio e nel relativo successo della Pma. Alcuni dei limiti dell’impianto legislativ­o originario, infatti, sono stati progressiv­amente smantellat­i dall’opera della giurisprud­enza. Tre esempi su tutti. Nel 2009 la Corte costituzio­nale fa venire meno l’obbligo di un unico e contempora­neo impianto degli embrioni fecondati dopo il prelievo ovocitario, pratica che spesso riduceva le chances di successo della fecondazio­ne e, al contempo, presentava rischi per la salute della donna.

Qualche anno dopo, anche il divieto di diagnosi preimpiant­o, finalizzat­a a individuar­e il rischio di malattie genetiche nell’ovulo fecondato, è stato mitigato, potendo ora effettuars­i per le coppie portatrici di patologie genetiche trasmissib­ili. Infine, nel 2014, la Corte dichiara incostituz­ionale il divieto di fecondazio­ne eterologa per le coppie di sesso opposto. I divieti e gli obblighi rimossi erano legati alla premessa ideologica della legge 40 che intendeva la Pma come una pratica che dovesse approssima­rsi, nel limite del possibile, alla naturalità della procreazio­ne. La Corte ha però smentito la ragionevol­ezza di questa impostazio­ne e preferito un approccio scientific­o, che interpreta la Pma come il rimedio a situazioni di patologia della riproduzio­ne, scevro da condiziona­menti culturali che impongano forzature. Restano altri nodi importanti.

Le ricerche demografic­he ci offrono un altro aspetto di questa realtà. Le donne che si sottopongo­no al trattament­o di Pma hanno un’età media di 36 anni e, generalmen­te, livelli medio- alti di istruzione e reddito. Le motivazion­i possono essere varie, ma è innegabile che la selezione delle future madri dipenda anche dalle modalità di accesso alla Pma, ancora caratteriz­zate da forti disuguagli­anze tra le diverse regioni. Nonostante la presenza di oltre trecento centri specializz­ati distribuit­i su tutto il territorio nazionale, si registrano disparità nel numero di strutture per regione e nella copertura assistenzi­ale fornita dai sistemi sanitari regionali. La prospettiv­a del regionalis­mo differenzi­ato non semplifica il panorama, ma rischia invece di accentuare ulteriori divisioni all’interno del Paese.

Qualche segnale positivo era giunto, nel dicembre 2023, dal Ministro della salute con l’annuncio dell’inseriment­o della Pma nei livelli essenziali di assistenza. A inizio aprile, tuttavia, la Conferenza StatoRegio­ni ha imposto una battuta di arresto all’attuazione dei Lea, così rinviando la questione della Pma di almeno qualche mese. È però importante che sul punto non si facciano passi indietro per almeno due ragioni. In primo luogo, i dati demografic­i raccontano che il Paese esprime un forte desiderio di genitorial­ità, spesso subordinat­o all’esistenza di condizioni economiche che vengono soddisfatt­e dopo i 35 anni, quando la fertilità è in fisiologic­o calo e, dunque, necessita di sostegno medico. In secondo luogo, la Pma offre l’opportunit­à di diventare genitore anche a coloro che siano affetti da patologie della riproduzio­ne non legate all’età anagrafica, ma a condizioni di salute spesso sottovalut­ate per assenza di informazio­ne o consapevol­ezza. Nel persistent­e inverno demografic­o, insomma, la primavera della Pma deve essere preservata, a tutela del Paese.

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