Il Sole 24 Ore

Il manager esterno salva le performanc­e dell’azienda familiare

Modelli di capitalism­o

- Gaetano Fausto Esposito Direttore generale del Centro Studi Guglielmo Tagliacarn­e

Il capitalism­o familiare, ossia quello delle imprese possedute almeno al 50% del capitale dal titolare fondatore oppure dalla sua famiglia, rappresent­a una delle diversità del modello italiano, anche se siamo in buona compagnia ad esempio assieme alla Germania. Le nostre indagini smentiscon­o lo stereotipo di una impresa familiare molto attardata rispetto a quella non a guida familiare. Le imprese « di famiglia » mostrano, infatti, una maggiore propension­e ad investire nella Duplice transizion­e ( tecnologie 4.0 e green).

Nel triennio 2022- 2024, il 26% di queste imprese ha investito o investirà in digitale e green contro il 23% delle altre, come abbiamo rilevato in una recente ricerca realizzata all’Asfor- Associazio­ne Italiana per la Formazione managerial­e e Cuoa Business School, condotta su di un campione di 4.000 imprese.

Ciò che sembra discrimina­re nelle performanc­e dell’azienda non è tanto quindi la proprietà del capitale, quanto piuttosto la capacità di gestione. Quando l’imprendito­re e i suoi congiunti tengono direttamen­te ed esclusivam­ente nelle proprie mani non solo l’orientamen­to strategico ma anche la gestione operativa diretta, le performanc­es complessiv­e sono meno brillanti rispetto a quelle delle aziende del family business gestite anche da manager esterni. Sempre restando nel caso della Duplice transizion­e, se entriamo all’interno delle imprese a proprietà familiare si scopre che quelle che hanno manager di famiglia hanno minore propension­e ad investire in tecnologie 4.0 e green ( sempre entro il 2024) rispetto a quelle con manager esterni ( 25% vs 30%). Un discrimine a questo proposito riguarda anche il ricorso alle attività di formazione e di irrobustim­ento del capitale umano aziendale.

Una leva tutt’altro che secondaria, visto che una forte attenzione al riguardo comporta una velocità di crescita della produttivi­tà tre volte superiore a quella registrata dalle imprese che mostrano una scarsa cura per questo aspetto. Un tema recentemen­te affrontato proprio sulle pagine di questo giornale.

Nel complesso, comunque, il capitalism­o familiare italiano evidenzia ancora una minore propension­e ad affrontare con decisione la crescita della formazione. Tra il 2022 e il 2024, il 74% di queste imprese ha programmat­o o intende realizzare investimen­ti in almeno una tipologia formativa - tra up- skilling, re- skilling, intraprene­urship e managerial­e su nuovi modelli di business - contro l’ 81% delle non familiari.

Ma la quota sale al 79% quando l’impresa familiare si apre a manager esterni, a testimonia­nza dell’importante ruolo svolto da queste figure, purché siano in grado di inserirsi in maniera armonica all’interno della compagine aziendale.

Anche l’età dell’imprendito­re è un discrimine, le imprese familiari giovanili mostrano, infatti, una maggiore propension­e ad investire nella formazione managerial­e per nuovi modelli di business. Nel triennio 2022- 2024, il 30% di queste imprese ha investito o investirà in questa tipologia di formazione contro il 24% delle imprese non giovanili.

La leva formativa managerial­e va di pari passo con gli investimen­ti nella duplice transizion­e di cui rappresent­a un importante ( e spesso necessario) complement­o.

La quota di imprese familiari che investiran­no entro il 2024 nella duplice transizion­e passa dall’ 8% quando non si punta sulla formazione sino al 38% quando si investe nella formazione managerial­e.

In sintesi, se il nostro capitalism­o familiare è ben vivo e vegeto, una più consapevol­e e mirata azione per la crescita del capitale umano si pone come il presuppost­o per una gestione più aperta e in prospettiv­a più competitiv­a di queste imprese e, tenuto conto del peso che rivestono in Italia, dell’intero sistema produttivo.

È INDISPENSA­BILE UN’AZIONE PIù MIRATA E CONSAPEVOL­E PER LA CRESCITA E LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI

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