Il manager esterno salva le performance dell’azienda familiare
Modelli di capitalismo
Il capitalismo familiare, ossia quello delle imprese possedute almeno al 50% del capitale dal titolare fondatore oppure dalla sua famiglia, rappresenta una delle diversità del modello italiano, anche se siamo in buona compagnia ad esempio assieme alla Germania. Le nostre indagini smentiscono lo stereotipo di una impresa familiare molto attardata rispetto a quella non a guida familiare. Le imprese « di famiglia » mostrano, infatti, una maggiore propensione ad investire nella Duplice transizione ( tecnologie 4.0 e green).
Nel triennio 2022- 2024, il 26% di queste imprese ha investito o investirà in digitale e green contro il 23% delle altre, come abbiamo rilevato in una recente ricerca realizzata all’Asfor- Associazione Italiana per la Formazione manageriale e Cuoa Business School, condotta su di un campione di 4.000 imprese.
Ciò che sembra discriminare nelle performance dell’azienda non è tanto quindi la proprietà del capitale, quanto piuttosto la capacità di gestione. Quando l’imprenditore e i suoi congiunti tengono direttamente ed esclusivamente nelle proprie mani non solo l’orientamento strategico ma anche la gestione operativa diretta, le performances complessive sono meno brillanti rispetto a quelle delle aziende del family business gestite anche da manager esterni. Sempre restando nel caso della Duplice transizione, se entriamo all’interno delle imprese a proprietà familiare si scopre che quelle che hanno manager di famiglia hanno minore propensione ad investire in tecnologie 4.0 e green ( sempre entro il 2024) rispetto a quelle con manager esterni ( 25% vs 30%). Un discrimine a questo proposito riguarda anche il ricorso alle attività di formazione e di irrobustimento del capitale umano aziendale.
Una leva tutt’altro che secondaria, visto che una forte attenzione al riguardo comporta una velocità di crescita della produttività tre volte superiore a quella registrata dalle imprese che mostrano una scarsa cura per questo aspetto. Un tema recentemente affrontato proprio sulle pagine di questo giornale.
Nel complesso, comunque, il capitalismo familiare italiano evidenzia ancora una minore propensione ad affrontare con decisione la crescita della formazione. Tra il 2022 e il 2024, il 74% di queste imprese ha programmato o intende realizzare investimenti in almeno una tipologia formativa - tra up- skilling, re- skilling, intrapreneurship e manageriale su nuovi modelli di business - contro l’ 81% delle non familiari.
Ma la quota sale al 79% quando l’impresa familiare si apre a manager esterni, a testimonianza dell’importante ruolo svolto da queste figure, purché siano in grado di inserirsi in maniera armonica all’interno della compagine aziendale.
Anche l’età dell’imprenditore è un discrimine, le imprese familiari giovanili mostrano, infatti, una maggiore propensione ad investire nella formazione manageriale per nuovi modelli di business. Nel triennio 2022- 2024, il 30% di queste imprese ha investito o investirà in questa tipologia di formazione contro il 24% delle imprese non giovanili.
La leva formativa manageriale va di pari passo con gli investimenti nella duplice transizione di cui rappresenta un importante ( e spesso necessario) complemento.
La quota di imprese familiari che investiranno entro il 2024 nella duplice transizione passa dall’ 8% quando non si punta sulla formazione sino al 38% quando si investe nella formazione manageriale.
In sintesi, se il nostro capitalismo familiare è ben vivo e vegeto, una più consapevole e mirata azione per la crescita del capitale umano si pone come il presupposto per una gestione più aperta e in prospettiva più competitiva di queste imprese e, tenuto conto del peso che rivestono in Italia, dell’intero sistema produttivo.
È INDISPENSABILE UN’AZIONE PIù MIRATA E CONSAPEVOLE PER LA CRESCITA E LA FORMAZIONE DEI DIPENDENTI