SCHIERAMENTI
SEMPRE PIù DIVISI SULLA MANCATA CONDANNA ALL’INVASIONE RUSSA IN UCRAINA E SUL MEDIO ORIENTE
Una frattura si era aperta sulla risoluzione Onu di condanna alla « invasione » russa in Ucraina, con un blocco di 17 Paesi africani astenuti sul testo e uno contrario, l’Eritrea. La seconda si sta allargando ora con la crisi in Medio Oriente e la linea espressa dall’Unione africana ( Ua): la condanna del « genocidio » di Israele e il sostegno alla causa intentata dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. L’Ua, l’organizzazione che rappresenta i 55 Paesi del Continente, sta manifestando un’autonomia sempre maggiore da Unione europea e Stati Uniti, il culmine di un raffreddamento nei rapporti politici, militari ed economici fra le parti. In termini politici, la sintonia bilaterale fra singoli leader sfuma in un clima di diffidenza quando ci si allarga a una scala regionale. Il gelo del presidente della Commissione Ua Moussa Faki a Roma, al vertice Italia- Africa di Giorgia Meloni, è un riflesso dei legami traballanti con i vertici europei sfilati a Palazzo Madama a fine gennaio. Una delle ferite mai rimarginate è l’ « egoismo vaccinale » di Bruxelles ai tempi della pandemia di Covid, scandito da consegne irrisorie di medicinali e dalla difesa della proprietà intellettuale di farmaci. In termini militari, la girandola di otto colpi di Stato in meno di tre anni a sud del Sahara ha sancito - anche - la fine di leader africani graditi all’Occidente e l’ascesa di giunte estranee ai vecchi schemi. Ne è un esempio l’interlocuzione con Mosca avviata in tempi diversi dalle giunte putschiste di Mali, Burkina Faso e Niger, a sua volta suggello di una mappa sempre più vasta di intese mediate ora dal Cremlino e ora dal canale dei contractors della ex (?) Wagner.
L’ingresso di nuovi attori è favorito dall’uscita di scena delle forze di peacekeeping che hanno presidiato e abbandonato le aree più precarie del Continente, spesso con esiti contestati: dall’esodo delle missioni Ue in un Sahel martoriato dal jihadismo all’addio dei caschi blu in una Repubblica democratica del Congo che vacilla fra bande armate e scintille di guerra con il Rwanda. E poi ci sono legami economici tanto robusti e rivendicati, soprattutto dalla Ue, quanto aperti alla diversificazione dei partner: l’ascesa finanziaria e infrastrutturale della Cina, l’avanzata diplomatica e logistica della Turchia, le basi portuali dislocate da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, gli stessi legami militari con Mosca. Un’interpretazione diffusa è che i Paesi africani stiano scivolando da una subalternità all’altra, dal « dominio » del dollaro alla diluizione nel nuovo polo Brics formato da Brasile, Russia, India, Cina e, appunto, Sudafrica. Ma il vizio di fondo è di considerare, ancora una volta, le Afriche come un oggetto alla mercé di equilibri esterni, anziché un soggetto capace di esprimere un’identità politica. Il processo di affrancamento dei leader africani nasce da una premessa e uno sviluppo, spiega Giovanni Carbone, head del programma Africa del centro studi Ispi e docente dell’Università degli Studi di Milano. La premessa sono i risentimenti post- coloniali. Lo sviluppo è, appunto, un ventaglio più esteso di interlocutori e una maggiore « possibilità di scelta » nelle proprie relazioni. È vero che il disegno della Ua fa trasparire più di una fragilità, ma la sua crescita procede a ritmi incalzanti. Una delle conquiste più tangibili è il debutto dell’African continental free trade area, la maxi- area di libero scambio entrata in vigore nel 2021: in prospettiva, una Schengen allargata su un Continente grande tre volte l’Europa, con un bacino di popolazione che raggiungerà i 2,5 miliardi in meno di 20 anni e una ricchezza esorbitante di materie prime sotto il suo suolo. Il patrimonio naturale delle Afriche attrae espansioni neocoloniali, ma è anche una leva della sua autonomia: i leader del Continente possono scegliere con chi e se dialogare, soppesando vantaggi e insidie senza deferenze. Ue e Usa si accreditano un peso decisivo nei legami commerciali e un approccio che privilegia la trasparenza, almeno a Bruxelles. Ma più l’Ua si rafforza, più i leader occidentali dovrebbero abituarsi a rivedere i rapporti e abbandonare un complesso di superiorità latente. Un « cambio di paradigma » sulle Afriche, come va di moda dire. Solo che a imprimerlo, stavolta, sono i leader africani.