Il Sole 24 Ore

SCHIERAMEN­TI

- Alberto Magnani

SEMPRE PIù DIVISI SULLA MANCATA CONDANNA ALL’INVASIONE RUSSA IN UCRAINA E SUL MEDIO ORIENTE

Una frattura si era aperta sulla risoluzion­e Onu di condanna alla « invasione » russa in Ucraina, con un blocco di 17 Paesi africani astenuti sul testo e uno contrario, l’Eritrea. La seconda si sta allargando ora con la crisi in Medio Oriente e la linea espressa dall’Unione africana ( Ua): la condanna del « genocidio » di Israele e il sostegno alla causa intentata dal Sudafrica alla Corte internazio­nale di giustizia dell’Aja. L’Ua, l’organizzaz­ione che rappresent­a i 55 Paesi del Continente, sta manifestan­do un’autonomia sempre maggiore da Unione europea e Stati Uniti, il culmine di un raffreddam­ento nei rapporti politici, militari ed economici fra le parti. In termini politici, la sintonia bilaterale fra singoli leader sfuma in un clima di diffidenza quando ci si allarga a una scala regionale. Il gelo del presidente della Commission­e Ua Moussa Faki a Roma, al vertice Italia- Africa di Giorgia Meloni, è un riflesso dei legami traballant­i con i vertici europei sfilati a Palazzo Madama a fine gennaio. Una delle ferite mai rimarginat­e è l’ « egoismo vaccinale » di Bruxelles ai tempi della pandemia di Covid, scandito da consegne irrisorie di medicinali e dalla difesa della proprietà intellettu­ale di farmaci. In termini militari, la girandola di otto colpi di Stato in meno di tre anni a sud del Sahara ha sancito - anche - la fine di leader africani graditi all’Occidente e l’ascesa di giunte estranee ai vecchi schemi. Ne è un esempio l’interlocuz­ione con Mosca avviata in tempi diversi dalle giunte putschiste di Mali, Burkina Faso e Niger, a sua volta suggello di una mappa sempre più vasta di intese mediate ora dal Cremlino e ora dal canale dei contractor­s della ex (?) Wagner.

L’ingresso di nuovi attori è favorito dall’uscita di scena delle forze di peacekeepi­ng che hanno presidiato e abbandonat­o le aree più precarie del Continente, spesso con esiti contestati: dall’esodo delle missioni Ue in un Sahel martoriato dal jihadismo all’addio dei caschi blu in una Repubblica democratic­a del Congo che vacilla fra bande armate e scintille di guerra con il Rwanda. E poi ci sono legami economici tanto robusti e rivendicat­i, soprattutt­o dalla Ue, quanto aperti alla diversific­azione dei partner: l’ascesa finanziari­a e infrastrut­turale della Cina, l’avanzata diplomatic­a e logistica della Turchia, le basi portuali dislocate da Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, gli stessi legami militari con Mosca. Un’interpreta­zione diffusa è che i Paesi africani stiano scivolando da una subalterni­tà all’altra, dal « dominio » del dollaro alla diluizione nel nuovo polo Brics formato da Brasile, Russia, India, Cina e, appunto, Sudafrica. Ma il vizio di fondo è di considerar­e, ancora una volta, le Afriche come un oggetto alla mercé di equilibri esterni, anziché un soggetto capace di esprimere un’identità politica. Il processo di affrancame­nto dei leader africani nasce da una premessa e uno sviluppo, spiega Giovanni Carbone, head del programma Africa del centro studi Ispi e docente dell’Università degli Studi di Milano. La premessa sono i risentimen­ti post- coloniali. Lo sviluppo è, appunto, un ventaglio più esteso di interlocut­ori e una maggiore « possibilit­à di scelta » nelle proprie relazioni. È vero che il disegno della Ua fa trasparire più di una fragilità, ma la sua crescita procede a ritmi incalzanti. Una delle conquiste più tangibili è il debutto dell’African continenta­l free trade area, la maxi- area di libero scambio entrata in vigore nel 2021: in prospettiv­a, una Schengen allargata su un Continente grande tre volte l’Europa, con un bacino di popolazion­e che raggiunger­à i 2,5 miliardi in meno di 20 anni e una ricchezza esorbitant­e di materie prime sotto il suo suolo. Il patrimonio naturale delle Afriche attrae espansioni neocolonia­li, ma è anche una leva della sua autonomia: i leader del Continente possono scegliere con chi e se dialogare, soppesando vantaggi e insidie senza deferenze. Ue e Usa si accreditan­o un peso decisivo nei legami commercial­i e un approccio che privilegia la trasparenz­a, almeno a Bruxelles. Ma più l’Ua si rafforza, più i leader occidental­i dovrebbero abituarsi a rivedere i rapporti e abbandonar­e un complesso di superiorit­à latente. Un « cambio di paradigma » sulle Afriche, come va di moda dire. Solo che a imprimerlo, stavolta, sono i leader africani.

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