Il Sole 24 Ore

Nell’agroalimen­tare, fino a metà della manodopera arriva dall’estero

Il rapporto della Fai- Cisl: cresce lo sfruttamen­to anche al Centro- Nord

- Micaela Cappellini

C’è fino al 50% di manodopera straniera dietro al made in Italy agroalimen­tare. Anche se i dati ufficiali parlano di 362mila immigrati occupati nel settore, pari al 31,7% delle giornate di lavoro registrate, quando si tiene conto del sommerso i numeri reali sono molto più alti. È quanto emerge dal rapporto “Made in Immigrital­y”, il primo commission­ato dalla Fai- Cisl al centro studi Confronti sui lavoratori immigrati nell’agroalimen­tare.

Dal Parmigiano Reggiano prodotto con il grande apporto dei lavoratori indiani, fino alle campagne agrumicole o del pomodoro nel Sud Italia, non c’è filiera del made in Italy agroalimen­tare in cui il lavoro migrante non assuma un ruolo rilevante. I principali Paesi di provenienz­a restano ancora - nell’ordine - la Romania, il Marocco, l’India, l’Albania e il Senegal. Ma mentre i lavoratori rumeni negli anni diminuisco­no, marocchini, indiani e albanesi crescono di qualche migliaia, mentre i senegalesi addirittur­a raddoppian­o. L’agricoltur­a però è anche il settore più a rischio sfruttamen­to della manodopera immigrata: quasi la metà dei provvedime­nti giudiziari e delle inchieste condotte tra il 2017 e il 2021 hanno riguardato il lavoro nei campi. Le regioni del Mezzogiorn­o sono le più colpite, ma lo sfruttamen­to è cresciuto anche al Centro- Nord. Se nel 2017, su 14 procedimen­ti, 12 riguardava­no il Sud, nel 2021 siamo passati a un rapporto di 28 su 49. Non si tratta più solo di caporalato tradiziona­le: dal rapporto della Fai emergono sempre più nuove forme di appalto e subappalto illecito, orchestrat­e mediante società di copertura intestate a prestanome o false cooperativ­e.

« Il lavoro degli immigrati nelle filiere dell’agroindust­ria nazionale rimane in gran parte invisibile - ha detto il segretario generale della Fai- Cisl, Onofrio Rota, alla presentazi­one del rapporto ieri al Cnel - ma i dati raccolti dimostrano il carattere essenziale del contributo immigrato al made in Italy » . Per questo, sostiene il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, bisogna uscire « dalle banalizzaz­ioni del fenomeno migratorio come invasione, degli immigrati visti solo come soggetti che rubano il lavoro agli italiani: la realtà delle filiere agroalimen­tari dimostra il ruolo centrale e in molti casi insostitui­bile del lavoro dei migranti » .

Sbarra ( Cisl): nelle filiere agroalimen­tari centrale e in molti casi insostitui­bile il ruolo dei migranti

Lo sfruttamen­to dell’immigrazio­ne inoltre pone la politica nazionale di fronte alla sfida della regolarizz­azione della forza lavoro di cui il Paese evidenteme­nte dimostra di aver bisogno. « La metà dell’input di lavoro nel settore agroalimen­tare viene dagli immigrati e spesso non si ha il coraggio di dirlo - ha detto il presidente del Cnel, Renato Brunetta - pensiamo cosa potrebbe essere questo settore se avessimo migrazioni regolate, inserite in percorsi di valorizzaz­ione e processi di trasparenz­a » . Anche il ministro dell’Agricoltur­a, Francesco Lollobrigi­da, ammette il fabbisogno di forza lavoro da parte del settore: « Questo governo - ha detto ieri intervenen­do alla presentazi­one del rapporto Fai - è riuscito ad aumentare le quote di flussi di lavoratori immigrati, in particolar­e in agricoltur­a. Ma la formazione è fondamenta­le: i lavoratori che vogliono venire in Italia devono avere un chiaro percorso per arrivarci e avere condizioni di formazione anche a monte » .

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