Definizione accelerata, può giudicare chi la propone
Il nodo nella riforma Cartabia riguardava la terzietà del giudice
Il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata può far parte ed eventualmente essere nominato relatore nel collegio che definisce il giudizio. Le Sezioni unite, con la sentenza 9611, escludono che la toga si trovi nelle situazioni di incompatibilità previste dal Codice di rito civile ( articoli 51, comma 1 numero 4 e 52), visto che la proposta di definizione agevolata non ha la valenza di una decisione definitiva. « Né la decisione in camera di consiglio - si legge nella sentenza - conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di Cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa » .
Le Sezioni unite sciolgono così uno dei dubbi sorti dopo il “debutto” della riforma Cartabia ( Dlgs 149/ 2022) che ha previsto, con l’articolo 380- bis del Codice di procedura civile, la possibilità - se non è stata ancora fissata la data della decisione - per il presidente di sezione o il consigliere delegato, di proporre una definizione accelerata del giudizio « quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto » . Una sorta di funzione “filtro”, un tempo assegnata a una sezione ad hoc.
Il nodo da sciogliere riguardava la necessità di sgombrare il campo dall’equivoco che la richiesta di accelerazione, comportasse una valutazione in grado di pregiudicare l’imparzialità e la terzietà di chi l’aveva formulata, e dunque la possibilità di entrare nel collegio giudicante. Ipotesi che il Supremo collegio esclude.
La proposta, spiegano i giudici, è solo strumentale a una celere definizione di una causa considerata “inutile”, ma resta prodromica alla decisione conclusiva, se il ricorrente la chiede, che spetta solo al collegio.
Chi propone la definizione non manifesta una convinzione indebita nel merito della causa. Anzi, ad avviso delle Sezioni unite, la sua partecipazione al collegio che la definisce può contribuire ad assicurare sia un maggior rendimento dell’attività giurisdizionale, sia una maggiore celerità della decisione. E dunque una migliore qualità dell’accertamento sui cui questa si deve basare.
Le Sezioni unite ci tengono a chiarire che la conclusione raggiunta non è il risultato di un bilanciamento, tra il canone oggettivo di efficienza dell’amministrazione della giustizia e il diritto delle parti a un processo, con le garanzie del contraddittorio davanti a un giudice terzo e imparziale. Questi sono, infatti, valori che non possono essere comparati, a prescindere dalla completezza del sistema di garanzie. Secondo i principi dettati dalla Costituzione, come dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, è rilevante solo la durata del giusto processo. L’interpretazione scelta dell’articolo 380 bis del Codice di rito civile si basa, conclude il collegio, sulla convinzione che la partecipazione non entri in rotta di collisione con il principio di terzietà del giudice e con il giusto processo. Pur se utile a tagliare la durata dei tempi dei procedimenti in Cassazione.