Il ruolo del giudice e la strada maestra della Costituzione
Un sentiero su di un alto crinale. Il cammino richiede equilibrio per ogni passo: cadere lungo i versanti è un attimo. La teoria generale del diritto oggi è lassù, nel pericolo. Tutto fu nel secondo dopoguerra. Devastati dai totalitarismi, gli ordinamenti europei si ricompongono intorno alla forma- funzione dello Stato costituzionale. Cambia l’idea del giuridico: i valori racchiusi nelle Carte divengono, da morale evanescente, diritto vigente.
Un progresso civile dai costi elevati. Le disposizioni costituzionali, cariche di principî sfuggenti, distruggono il mito dello Stato fondato su norme applicabili col meccanismo sussuntivo. Allo schema oggettivante della fattispecie, del decidere per sillogismi, subentra – dice Herbert
Hart – il fluttuare in un mare di giudizi di valore controversi: i principî sono deità rissanti. Ne vengono – continua il giurista inglese – due immagini estreme: l’incubo e il nobile sogno.
L’incubo. Le Costituzioni hanno trasformato in diritto ciò che è politica, per cui il giudice si politicizza: diviene organo imprevedibile e pericoloso di crypto- legislation.
Il nobile sogno: « la credenza, forse la fede ( « the belief, perhaps the faith » ), che... sia ancora possibile fornire una spiegazione e una giustificazione della comune aspettativa delle parti in causa che i giudici applichino ai casi che li riguardano il diritto vigente e non creino nuovo diritto per la risoluzione di tali casi, neanche quando la formulazione di specifiche disposizioni costituzionali, legislative, o dei precedenti rilevanti, sembra non essere in grado di fornire una guida precisa » .
Occorre un cammino semitale, che fronteggi il Nightmare senza vagheggiare le sirene del Noble Dream.
Forse è questa la stella che ha guidato il ricercare d’un Maestro, Giuseppe Zaccaria: v’è ora una silloge del pensiero suo, Postdiritto. Nuove fonti, nuove categorie. La struttura del volume, articolato in saggi, non vela l’intelligenza del percorso. Ne aiuta invece la comprensione, poiché restituisce il contrappunto che – come in un basso continuo – lega quegli studî. La predilezione del Maestro per il metodo ermeneutico, che esalta – nella loro specificità irriducibile – la normatività del caso e della persona soggetta al giudizio, non lo distoglie dal dubbio: « In un contesto nel quale è la stessa inarrestabile globalizzazione del diritto a rendere cruciale il lavoro ricostruttivo ed interpretativo dei giudici, il recupero del valore della certezza come valore assoluto diviene nient’altro che mera utopia » ; per cui – si domanda – « il primato dell’interpretazione può avere per effetto... la nascita di una “comunità giudiziaria”, sostanzialmente autoreferenziale e perciò capace di sottrarsi a qualsiasi direzione o controllo, se non al suo stesso interno? » . Rifacendosi al Rodotà del Repertorio di fine secolo, la risposta negativa è recisa, pur nella sua difficilissima condivisibilità: « L’investitura popolare non è l’unica forma di legittimazione democratica per qualsiasi tipo di organismo al quale sia affidata, in senso largo, una funzione di governo » .
Onde l’assioma. « Più che alla legge il giudice è dunque soggetto alla Costituzione » , cioè – osservo – alle immagini che egli ne scorge: in ultimo, a sé stesso. Subito il contrappunto serenante: « Il fisiologico spazio di valutazione che la ricostruzione dei fatti porta con sé, accresciuto dall’incertezza e dalla mancata precisazione di un contenuto di disvalore tipico, si amplia ulteriormente, dischiudendo all’interprete uno spazio rilevantissimo ed indefinito, destinato ad introdurre nuove fattispecie. Sia per alcuni giudici sia per alcuni pubblici ministeri il rispetto dei termini per le indagini preliminari ed il controllo effettivo del rispetto delle leggi da parte del giudice delle indagini preliminari finiscono per diventare elementi secondari rispetto alla celebrazione di processi mediatici insensibili al principio della durata ragionevole del processo... Esorbitando nel suo potere, il giudice rischia di divenire così non colui che colma delle lacune, ma il giudice moralizzatore e giustiziere » .
Nobilmente Zaccaria esorta insomma il decisore – pur confuso da una « gerarchia assiologica mobile » – al « negoziato con la storia » : non sia un nuovo giusliberismo per l’età nostra, così vaga di reincanto.
ZACCARIA RIFLETTE SUI RISCHI CUI VA INCONTRO IL MAGISTRATO RISPETTO AL VALORE DELLA CERTEZZA