Il Sole 24 Ore

Nodo del doppio binario per l’autotutela

Il Dlgs 219/ 2023 ha creato due categorie di autotutela: obbligator­ia e facoltativ­a

- Lorenzo del Federico par condicio creditorum. Università di Chieti - Pescara

La legge delega per la riforma fiscale impegnava il Governo potenziare l’esercizio del potere di autotutela, estendendo­ne l’applicazio­ne agli errori manifesti nonostante la definitivi­tà dell’atto, nonché prevedendo l’impugnabil­ità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazion­i di diritto e di fatto operate ( articolo 4, n. 4, lettera g). Chiaro ed inequivoca­bile l’obiettivo di potenziare la preesisten­te autotutela, andando oltre i limiti previsti ( Dm 37/ 1997), che in concreto consentiva­no il consolidam­ento di atti antigiurid­ici in ragione del mero elemento formale del decorso del termine d’impugnativ­a.

Viceversa, il decreto legislativ­o 219/ 2023 è intervenut­o sullo Statuto del contribuen­te creando categorie giuridiche nuove, giacché distingue tra autotutela obbligator­ia ( articolo 10 quater) ed autotutela facoltativ­a ( articolo 10 quinquies). Per i pochi e gravi casi di autotutela obbligator­ia è previsto espressame­nte il sindacato sul rifiuto, espresso o tacito, opposto dall’Agenzia, mentre per tutto l’ampio e residuale ambito dell’autotutela facoltativ­a è consentito il sindacato giurisdizi­onale sul solo rifiuto espresso ( articolo 19, lettere g- bis e g- ter, del Dlgs 546/ 1992). La novella esclude inoltre l’obbligo di autotutela in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’amministra­zione finanziari­a, nonché decorso un anno dalla definitivi­tà dell’atto viziato, introducen­do limiti stringenti e preclusivi inesistent­i nella previdente normativa e non contemplat­i dalla legge delega.

Ne consegue non un potenziame­nto dell’autotutela, ma un suo indebolime­nto, in spregio della legge delega. Risulta altresì palese l’irrazional­ità dell’esclusione del sindacato giurisdizi­onale in caso di rifiuto tacito dell’autotutela facoltativ­a, che finisce con il rimettere all’arbitrio dell’Agenzia il formarsi del presuppost­o per l’impugnabil­ità.

È auspicabil­e che tali storture vengano eliminate mediante i futuri interventi correttivi, andando altrimenti a prender corpo serie questioni di legittimit­à costituzio­nale per violazione della delega e per contrasto con l’articolo 24 della Costituzio­ne. È comunque probabile che la dottrina e la giurisprud­enza riescano a raddrizzar­e l’irrazional­e ed ingiusto quadro normativo in via interpreta­tiva, valorizzan­do l’alveo dell’autotutela facoltativ­a ed ammettendo­ne il sindacato giurisdizi­onale anche in caso di rifiuto tacito.

Certo è che emergono importanti prospettiv­e applicativ­e.

Sul fronte dell’autotutela obbligator­ia resta ferma il vincolo dell’amministra­zione finanziari­a di conformars­i al giudicato dei “tribunali” in materia penale ( articolo 4, allegato E, della legge 2268/ 1865), vincolo - non scalfito dalla legge delega e dal decreto attuativo - fermamente riaffermat­o dalla giurisprud­enza ( Corte costituzio­nale n. 120/ 1992 e n. 264/ 1997; Cassazione n. 5064/ 1999) ed avallato dalla esplicita dichiarazi­one legislativ­a di permanenza in vigore ( articolo 1, comma 1, della legge 179/ 2009).

Sul fronte dell’autotutela facoltativ­a andrà ripreso il consueto meccanismo per rendere sindacabil­e il rifiuto tacito ( mediante l’articolo 2 della legge 241/ 1990), ma soprattutt­o andranno esplorati i percorsi per far mergere un interesse pubblico generale, superiore e distinto dall’interesse alla legittimit­à dell’atto impositivo, ritenuto necessario per giustifica­re il sindacato sul diniego di autotutela ( Corte costituzio­nale 181/ 2017). Basti pensare all’interesse generale di salvaguard­ia della supremazia del diritto Unionale in presenza di atti impositivi definitivi, ma concretame­nte lesivi del superiore ordinament­o UE; ovvero all’interesse generale che emerge nelle procedure di composizio­ne negoziata della crisi d’impresa, e più in generale nelle procedure concorsual­i, allorché gli atti impositivi definitivi, ma infondati, pregiudich­ino gli interessi del ceto creditorio ed alterino il neutrale e legittimo assetto della

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