Nodo del doppio binario per l’autotutela
Il Dlgs 219/ 2023 ha creato due categorie di autotutela: obbligatoria e facoltativa
La legge delega per la riforma fiscale impegnava il Governo potenziare l’esercizio del potere di autotutela, estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, nonché prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ( articolo 4, n. 4, lettera g). Chiaro ed inequivocabile l’obiettivo di potenziare la preesistente autotutela, andando oltre i limiti previsti ( Dm 37/ 1997), che in concreto consentivano il consolidamento di atti antigiuridici in ragione del mero elemento formale del decorso del termine d’impugnativa.
Viceversa, il decreto legislativo 219/ 2023 è intervenuto sullo Statuto del contribuente creando categorie giuridiche nuove, giacché distingue tra autotutela obbligatoria ( articolo 10 quater) ed autotutela facoltativa ( articolo 10 quinquies). Per i pochi e gravi casi di autotutela obbligatoria è previsto espressamente il sindacato sul rifiuto, espresso o tacito, opposto dall’Agenzia, mentre per tutto l’ampio e residuale ambito dell’autotutela facoltativa è consentito il sindacato giurisdizionale sul solo rifiuto espresso ( articolo 19, lettere g- bis e g- ter, del Dlgs 546/ 1992). La novella esclude inoltre l’obbligo di autotutela in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato, introducendo limiti stringenti e preclusivi inesistenti nella previdente normativa e non contemplati dalla legge delega.
Ne consegue non un potenziamento dell’autotutela, ma un suo indebolimento, in spregio della legge delega. Risulta altresì palese l’irrazionalità dell’esclusione del sindacato giurisdizionale in caso di rifiuto tacito dell’autotutela facoltativa, che finisce con il rimettere all’arbitrio dell’Agenzia il formarsi del presupposto per l’impugnabilità.
È auspicabile che tali storture vengano eliminate mediante i futuri interventi correttivi, andando altrimenti a prender corpo serie questioni di legittimità costituzionale per violazione della delega e per contrasto con l’articolo 24 della Costituzione. È comunque probabile che la dottrina e la giurisprudenza riescano a raddrizzare l’irrazionale ed ingiusto quadro normativo in via interpretativa, valorizzando l’alveo dell’autotutela facoltativa ed ammettendone il sindacato giurisdizionale anche in caso di rifiuto tacito.
Certo è che emergono importanti prospettive applicative.
Sul fronte dell’autotutela obbligatoria resta ferma il vincolo dell’amministrazione finanziaria di conformarsi al giudicato dei “tribunali” in materia penale ( articolo 4, allegato E, della legge 2268/ 1865), vincolo - non scalfito dalla legge delega e dal decreto attuativo - fermamente riaffermato dalla giurisprudenza ( Corte costituzionale n. 120/ 1992 e n. 264/ 1997; Cassazione n. 5064/ 1999) ed avallato dalla esplicita dichiarazione legislativa di permanenza in vigore ( articolo 1, comma 1, della legge 179/ 2009).
Sul fronte dell’autotutela facoltativa andrà ripreso il consueto meccanismo per rendere sindacabile il rifiuto tacito ( mediante l’articolo 2 della legge 241/ 1990), ma soprattutto andranno esplorati i percorsi per far mergere un interesse pubblico generale, superiore e distinto dall’interesse alla legittimità dell’atto impositivo, ritenuto necessario per giustificare il sindacato sul diniego di autotutela ( Corte costituzionale 181/ 2017). Basti pensare all’interesse generale di salvaguardia della supremazia del diritto Unionale in presenza di atti impositivi definitivi, ma concretamente lesivi del superiore ordinamento UE; ovvero all’interesse generale che emerge nelle procedure di composizione negoziata della crisi d’impresa, e più in generale nelle procedure concorsuali, allorché gli atti impositivi definitivi, ma infondati, pregiudichino gli interessi del ceto creditorio ed alterino il neutrale e legittimo assetto della