Ordinanza non tradotta nulla se è nota l’ignoranza della lingua italiana
La traduzione si impone solo dal momento in cui la circostanza è nota
L'ordinanza di custodia cautelare, emessa nei confronti dello straniero e non tradotta, è nulla solo se era già noto che l’imputato o l’indagato non conosceva l’italiano. Se invece la circostanza non era emersa il provvedimento è valido fino a quando questa non risulti. Da quel momento scatta l’obbligo di tradurre l’atto in « un termine congruo » , pena la nullità di tutti gli atti processuali compiuti fino a quel momento, ordinanza cautelare compresa.
Le Sezioni unite, con la sentenza 15069, dirimono il contrasto che aveva spaccato la giurisprudenza sulle conseguenze della mancata traduzione.
Il Supremo collegio, dopo aver chiarito che non c’ è alcun automatismo tra obbligo di traduzione e cittadinanza straniera dell’interessato, occorrendo sempre la prova della sua ignoranza della lingua italiana, adotta una soluzione in linea con i principi sul diritto di difesa sanciti sia dalla Cedu sia dalla Consulta.
Una soluzione in linea con la giurisprudenza di Strasburgo che impone di distinguere le ipotesi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana sia emersa prima o dopo l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare. Nel caso esaminato il Supremo collegio, considera inammissibile il ricorso di un indagato, per tentato omicidio, di lingua polacca che chiedeva di considerare nullo il provvedimento di fermo di polizia non tradotto. Per i giudici una mancanza che non aveva leso le sue prerogative difensive, visto che la traduzione era arrivata prima dell’udienza di convalida dell’atto.
Termine congruo che induce ad escludere un reale e concreto pregiudizio.
Le Sezioni unite ricordano che l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, sull’equo processo, chiarisce in modo inequivocabile, che la traduzione di un atto processuale deve avvenire, nel più breve tempo possibile. Con la conseguenza che, acquisita
la conoscenza « dell’ignoranza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, l’autorità giudiziaria deve individuare, senza ritardo, un interprete che conosca la lingua dell’imputato o dell’indagato alloglotta, per consentirgli di esercitare il suo diritto di difesa » . Prerogative affermate anche dalla Consulta e dalle norme interne, che portano a disattendere l’orientamento secondo il quale l’omessa o tardiva traduzione non darebbe luogo a nessuna nullità, come desumibile dall’articolo 143 del Codice di rito penale, che fa riferimento alla finalità di traduzione solo degli atti fondamentali, senza prevedere sanzioni.
‘ Una soluzione in linea con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sull’equo processo