Per un pasto al bar è difficile spendere meno di 14 euro
Cresce il costo medio della pausa pranzo: sempre più cara per i lavoratori italiani, da nord a sud. Secondo i dati Istat, nel 2023 gli italiani hanno speso 9 miliardi di euro in più per mangiare. Una delle voci che maggiormente incide sull’esborso finale è la spesa per la pausa pranzo. Come ha mostrato l’ultimo Osservatorio Nazionale Federconsumatori, una pausa pranzo tipo – un piatto di pasta, un dessert, acqua e caffè – in una tavola calda, bar o selfservice può costare fino a 14,89 euro al giorno (+ 8% sul 2019 e + 176% vs 2001). Cifra che si abbassa a 10 euro se lo stesso tipo di piatti pronti vengono acquistati al supermercato e che scende a 4 euro circa comprando le materie prime di un pranzo preparato e portato da casa ( come fa ormai circa il 40% dei lavoratori).
La stessa conferma arriva anche dalla ricerca condotta da Bva Doxa per Pluxee Italia, per la quale l’ 80% delle consumazioni durante la pausa pranzo fuori ufficio avviene nei locali ( come bar e ristoranti), con costi che variano notevolmente: si parte da una media di 8,10 euro per la consumazione di un panino/ piadina/ toast con bevanda e caffè, e si raggiungono, appunto, i 15 euro per un “menù completo”. Per consumare invece un primo piatto si spendono mediamente 9,80 euro, mentre per un secondo piatto, la cifra si aggira attorno agli 11,60 euro. Le consumazioni da asporto, che costituiscono il 20% sul totale delle pause pranzo fuori ufficio degli italiani, risultano leggermente più contenute: in media 6 euro per un panino/ piadina/ toast ( escluse bevande), 7,40 euro per un primo piatto e circa 9,30 euro per un secondo piatto.
« In un contesto di inflazione crescente e costi in aumento per la pausa pranzo – sostiene Anna Maria Mazzini, chief growth officer di Pluxee Italia – l’opportunità per le imprese di rivedere e potenziare il valore dei buoni pasto è di rilievo. Il mercato dei buoni pasto in Italia vale circa 4 miliardi di euro di valore con 4 milioni di consumatori, ma sono 19 i milioni di consumatori potenziali. Appare quindi evidente che abbiamo un notevole gap da colmare anche in termini di informazione e diffusione. Questo riguarda soprattutto le pmi, le quali rappresentano circa l’ 80% del tessuto imprenditoriale del nostro Paese » .
Up Day, azienda attiva nei servizi alle imprese e buoni pasto, ha lanciato invece “Buonissimo”, che prevede una commissione massima per gli esercenti al 5% e buoni acquisto premio finanziati dalla start up per tutte le transazioni effettuate presso i pubblici esercizi sostenibili. « Vogliamo uscire dalle logiche di negoziazione sul valore nominale – afferma Mariacristina Bertolini, direttrice e vicepresidente di Up Day – e generare un progetto buono per tutti: ambiente, aziende, persone, territorio e famiglie, dando la possibilità di decidere dove e come spendere i buoni, allargando non solo ai supermercati ma anche ai ristoranti o ai negozi di prossimità, Km zero, per sviluppare sempre di più un consumo responsabile per il nostro pianeta » .
Dal caro pausa pranzo non è esonerato nemmeno il delivery che ai costi per il cibo aggiunge quelli di consegna e di sostenibilità ambientale ( traffico, emissioni, spreco alimentare, packaging). Su questo fronte si è fatta avanti la piattaforma di spesa sostenibile Planeat. eco. « Il modello di delivery programmato che abbiamo messo a punto – sostiene il fondatore Nicola Lamberti – consente di portare ai lavoratori un pasto regolare, composto per esempio da pasta corta al ragù, insalate di patate e fagiolini, un panino e frutta tagliata a un costo di 5 euro oppure un piatto di riso venere con verdure, una tartare di gamberi o una lasagna e una porzione di arrosto a 7 euro. Gli euro risparmiati possono essere accumulati o utilizzati per la spesa di casa. Dal 2024, inoltre, stiamo sostituendo tutti i contenitori riciclabili per la consegna della spesa con quelli lavabili » .
‘ Anche sul fronte ticket e delivery arrivano cambiamenti importanti per adeguarsi agli aumenti dei listini