Credito, default delle imprese verso quota 3,5% a fine 2024
Le previsioni di Crif registrano un aumento del tasso di default dal 2,39% del 2023 ma resta distante dall’ 8% post Lehman
Durante la pandemia tutti gli analisti ed economisti prevedevano un forte aumento delle insolvenze tra imprese e famiglie italiane negli anni successivi. Erano convinti che i bilanci bancari si sarebbero riempiti di crediti deteriorati. Ma a 4 anni dall’arrivo del Covid possiamo dirlo: le Cassandre sono state in gran parte smentite dai fatti. Perché dopo la pandemia, l’inflazione a due cifre, il più veloce rincaro dei tassi d’interesse che l’Europa abbia mai vissuto, la guerra in Ucraina e l’impennata del prezzo del gas, il boom di default tanto temuto non c’è stato. Ma questo è solo il bicchiere mezzo pieno: perché un aumento, leggero e per niente paragonabile a quanto visto negli anni dopo il crack Lehman e la crisi dello spread, si inizia comunque a vedere.
Lo testimoniano vari studi, a partire dall’Osservatorio sulle imprese di Crif: il tasso di default delle società di capitali dovrebbe raggiungere il 3,5% per fine 2024, dal 2,39% di dicembre 2023. Un incremento, certo. Ma nulla a che vedere con l’ 8% raggiunto a fine 2013. Stesso discorso per i mutui: il tasso di deterioramento del credito alle famiglie è salito allo 0,7% secondo le elaborazioni di Nomisma su dati della Banca d’Italia e della Bce. Insomma: la situazione peggiora, per imprese e famiglie, ma senza drammi. L’Italia si sta dimostrando più resiliente di quanto non si potesse prevedere fino a pochi anni fa, nonostante tutto quello che è accaduto. Una volta tanto, si può dire che il bicchiere è più pieno che vuoto. Nonostante una crisi che, comunque, si fa sentire.
I default delle imprese
Il contesto è stato di quelli davvero sfidanti. Prima la pandemia e le chiusure. Poi, una volta riaperto il mondo, la grande difficoltà ad approvvigionarsi e a trovare le materie prime. Poi, risolto questo problema, è arrivato il colpo duro della bolletta energetica alle stelle: per un Paese manifatturiero ed energivoro come l’Italia, questo è stato un pugno. Poi è arrivata l’inflazione ( che ha colpito più le famiglie ovviamente) e la cura da cavallo dei tassi d’interesse operata dalla Bce. Era facile prevedere che le imprese italiane ( e non solo) potessero soffrire non poco di fronte a una sequenza di eventi come questa.
Eppure no. Nel 2021 il tasso di default ha toccato il minimo - osserva Crif - e dal 2022 ha ripreso a salire. Ma senza eccessi visti nel passato: come detto, nel 2024 il tasso di insolvenza dovrebbe aumentare al 3,5%. « La crescita del tasso di default sarà influenzata dal permanere di un contesto di instabilità a livello globale e da uno scenario economico domestico ancora fragile » , commenta Luca D’Amico, Ceo di Crif Ratings.
Le ragioni della resilienza
Eppure non si può non notare il bicchiere mezzo pieno: come mai - a differenza del passato - non c’è stata un’ondata massiccia di insolvenze in Italia? Le risposte sono tante, e alcune si trovano anche nel rapporto di Crif. La prima è legata alle misure di sostegno governative, varate durante il Covid: misure che hanno sostenuto molte imprese costrette a chiudere per i lockdown.
La seconda, che si evince indirettamente dallo studio di Crif, è legata al sistema bancario: la grande differenza tra la crisi degli ultimi anni e quelle che hanno colpito l’Italia dopo il crack di Lehman nel 2008 e dopo la crisi dello spread del 2011- 2012, è che oggi il sistema bancario è solido e forte. Ai tempi le banche erano deboli e piene di crediti incagliati che minavano la loro capacità di erogare credito. Quello che davvero mise in ginocchio l’Italia in quegli anni fu il credit crunch: le banche chiusero i rubinetti del credito. Questa volta no: le banche ora sono solide e ben capitalizzate, hanno bilanci puliti da crediti deteriorati, e dunque possono continuare a erogare credito. E i dati di Crif lo dimostrano: nel 2023 il numero di finanziamenti erogati alle imprese è cresciuto del 5,4%, trainato dalle società di capitali (+ 8,7%). Ma è stata meno vivace la propensione a indebitarsi con importi elevati (+ 1,7% l’importo medio complessivo).
La terza ragione è legata all’accumulo di soldi nei conti correnti, da parte di imprese e famiglie, durante la pandemia. Questo ha fornito ossigeno per far fronte, meglio del previsto, alle conseguenze di inflazione e caro- tassi. La quarta ragione è che le imprese, non solo in Italia, durante l’era dei tassi a zero hanno messo fieno in cascina raccogliendo finanziamenti a tassi molto vantaggiosi: prestiti che piano piano andranno rifinanziati, ma che per ora mantengono il costo del debito relativamente basso.
Infine le imprese - come certificano vari studi della Banca d’Italia - si sono ristrutturate dal 2008 in poi: i debiti finanziari delle aziende ( dati Bankitalia) sono in Italia inferiori al 70% del Pil e in calo rispetto al 2008, contro il 160% del Pil in Francia, il 140% del Belgio, il 100% della Spagna e oltre il 100% medio dell’area euro. Dal 2008 i debiti aziendali sono cresciuti in quasi tutti i Paesi, tranne che in Italia. Così oggi le imprese sono maggiormente in grado di resistere agli shock.
Le difficoltà delle famiglie
I problemi sono però più sulle famiglie, colpite dall’inflazione e dai tassi alti. Secondo i dati di Roberto Anedda, Senior Advisor di Nomisma, 3,5 milioni di famiglie italiane hanno un mutuo in corso e la quota complessiva dei finanziamenti a tasso variabile è intorno al 40%: dato superiore rispetto alla media europea. La rata mensile è cresciuta tra il 35% ed il 119% in meno di due anni. Così c’è stata una contrazione fino al 51% del reddito netto residuo disponibile, secondo i dati di Nomisma. Ecco perché sul fronte delle famiglie i problemi potrebbero rivelarsi maggiori in futuro che sul fronte delle imprese: anni di tassi alti e di inflazione elevata non passano come un bicchiere d’acqua. Ma a giugno la Bce inizierà a tagliarli. I tassi dei mutui, certifica l’Abi ( si veda pagina 4) lentamente scendono: la speranza è che non sia troppo tardi.
Una grande differenza tra la crisi attuale e quella post 2008 è il sistema bancario, che oggi è solido
I problemi sono più concentrati sulle famiglie, colpite dall’inflazione e dai tassi alti