L’HARDWARE CHE SERVE AI CHATBOT ITALIANI
Nel documento di sintesi della strategia italiana per l’intelligenza artificiale per il periodo 2024- 2026 uno dei dieci punti indicati dagli esperti selezionati dal Governo prevede lo sviluppo di tre Large Multimodal Model italiani. Tre chatbot che parlano italiano e sono competenti in specifici domini applicativi in cui l’Italia detiene una forte riconoscibilità internazionali. Così si legge. Vedremo nel concreto le domande a cui risponderanno i tre Llm ma non sono molti gli esperti di Ai generativi che scommettono sulla sovranità digitale dell’intelligenza artificiale. Non tanto per una questione di mancanza di competenze, non solo da noi anche in altri paesi europei. E neppure per l’atavico ritardo tecnologico che si ripete anche nell’Ai generativa. Ricordiamo che i più grandi Gpt, Gemini e Microsoft Copilot sono tutti chatbot extra- europei. Quanto per la nostra comprensione dei nostri “fondamentali” di Ai. Detto meglio: abbiamo le risorse, sappiamo quello che serve per sviluppare una strategia dell’Ai? Lo sviluppo e l’uso di un’intelligenza artificiale affidabile richiede una conoscenza diversa da quelle di molte altre tecnologie. Per esempio, una forza lavoro qualificata, politiche pubbliche abilitanti, quadri giuridici, l’accesso ai dati e potenza di calcolo sufficiente. Come sostiene da tempo l’Ocse servirebbe misurare la nostra capacità di Ai, non a livello nazionale ma mettendo insieme metriche comuni. A partire forse dal supercalcolo. Come ha spiegato settimana scorsa con lucidità Claudio Bassoli, presidente e amministratore delegato di Hewlett Packard Enterprise Italia servono macchine capaci di portare a terra le promesse dell’Ai. Il suo è un pensiero interessato. Hpe detiene sei dei 10 calcolatori green al mondo e sta inoltre aggiornando Frontier, il suo supercalcolatore usato, tra gli altri, dall’amministrazione degli Stati Uniti per motivi di sicurezza e previsioni meteorologiche. Il successore sarà El Capitan, che raddoppierà le performance dell’attuale. A marchio Hpe è anche la macchina Ai più potente al mondo, dedicata a ricercare nuove soluzioni farmacologiche, a beneficio di tutta l’umanità. Insieme a Eni stanno dando vita a uno dei supercomputer industriali più potenti al mondo per l’Ai. Hpc6 aumenterà la potenza di calcolo disponibile per Eni fino a raggiungere un picco di prestazioni teoriche di 600 milioni di miliardi ( 600 seguito da 15 zeri) di operazioni in virgola mobile al secondo, o 600 petaFLOP/ s. « In termini di elaborazione rispetto a Hpc5 siamo di fronte a un salto quantico - ha spiegato –. Sono convinto che come paese dobbiamo lavorare sull’incremento di produttività. Ma anche su una chiara strategia per trattenere i cervelli in Italia. Le menti più freschi e più brillanti vogliono stare dove ci sono le strutture più avanzate al mondo » . Chiaramente macchine di questa portata ce ne sono ben poche in Europa. Peraltro trovare hardware dedicato all’Ai non è oggi né semplice e neppure economico. Servono risorse. Tante. Ma prima di tutto occorre capire quante hardware serve e su questa base possiamo sperare di misurare le nostre ambizioni.