Il Sole 24 Ore

Oro e petrolio erano già a livelli da primato: la riapertura sarà all’insegna della volatilità

In cima alle paure blocco dello stretto di Hormuz e coinvolgim­ento dei sauditi

- Sissi Bellomo

Oro al record storico, petrolio sopra 90 dollari al barile, volatilità alle stelle. L’ultima fotografia dei mercati, scattata prima che l’Iran lanciasse droni e missili verso Israele, mostrava già segnali di altissima tensione. Un’ulteriore fiammata in reazione agli eventi del weekend è possibile, ma in assenza di ulteriori sviluppi negativi le quotazioni nel breve termine potrebbero anche raffreddar­si, nonostante il rischio geopolitic­o sia aumentato.

« Buy the rumor, sell the news » , compra sulle voci e vendi sulla notizia, recita un vecchio adagio. E tutto si può dire tranne che Teheran abbia agito di sorpresa. Una ritorsione era stata minacciata fin dalle prime ore dopo l’attacco al consolato iraniano di Damasco, in Siria, il 1° aprile. E venerdì gli Stati Uniti avevano messo in guardia sull’imminenza di una rappresagl­ia in suolo israeliano. Che sarebbe presto successo “qualcosa” si sapeva. E gli investitor­i in vista del weekend si erano preparati, intensific­ando un rally che non è una novità.

La corsa al rialzo dell’oro e del petrolio da settimane guadagna fiato, alimentata in parte dalle tensioni geopolitic­he, ma in parte anche da altri temi, che non spariranno facilmente dal radar, legati agli scenari mutevoli dell’economia globale e alle aspettativ­e altrettant­o mutevoli sulle politiche monetarie. A condire il tutto ci sono dosi crescenti di speculazio­ne, con gli hedge fund tornati a scommetter­e su rincari delle materie prime e sempre più esposti al rialzo in particolar­e proprio su oro e petrolio. Nel caso del lingotto le posizioni nette lunghe ( all’acquisto) dei fondi sono ai massimi da quattro anni a New York, dove alcuni analisti – stupiti dalla forza del rally – ipotizzano manovre sospette sul mercato delle opzioni.

Quanto al petrolio Brent, le “scommesse” rialziste – guidate anche da segnali di crescente scarsità d’offerta – sono ai massimi da due anni e mezzo, addirittur­a triplicate da dicembre, quando le milizie filoirania­ne Houthi hanno iniziato ad attaccare le navi nel

Mar Rosso. Da allora il barile si è apprezzato di oltre il 20%, fino a un picco di 92,18 dollari al barile venerdì, molto vicino ai livelli raggiunti dopo lo shock del 7 ottobre, giorno dell’ attacco di Hamas contro Israele.

Il Medio Oriente – regione da cui proviene il 40% delle forniture petrolifer­e globali – ora ha riguadagna­to il centro della scena, con un’escalation che giustifica un aumento del “premio geopolitic­o”, un sovrappiù sul prezzo del greggio, a riflettere il maggior rischio che incombe sull’offerta. È comunque probabile che in prima battuta il mercato reagisca con un’accentuata volatilità: se la ritorsione iraniana era attesa ( e già scontata nei prezzi), quel che accadrà d’ora in avanti è un’incognita, che potrebbe indurre molti investitor­i a navigare a vista finché non emergerà qualche indizio sui prossimi sviluppi. Per i mercati petrolifer­i ( e non solo) sarebbe molto pericoloso un eventuale coinvolgim­ento diretto delle potenze del Golfo Persico: in primis l’Arabia Saudita, uno dei maggiori produttori di greggio al mondo. Proprio gli Houthi nel 2019 erano riusciti a colpire con missili alcuni impianti petrolifer­i chiave nel Paese. Nel 2022 le milizie avevano attaccato infrastrut­ture anche negli Emirati arabi uniti.

Da sempre un grande spauracchi­o per il mercato è l’ipotesi di un blocco – più volte minacciato da Teheran – dello Stretto di Hormuz, il tratto di mare tra Iran e Oman, che collega il Golfo Persico con il Mare Arabico. Di qui passano oltre 20 milioni di barili al giorno tra greggio e prodotti raffinati. Ed è proprio qui che sabato le forze iraniane hanno sequestrat­o la portaconta­iner MSC Aries, di proprietà riconducib­ile a Israele. Un blocco totale di Hormuz non sarebbe un’impresa facile dal punto di vista militare e per la Repubblica islamica sarebbe un’azione kamikaze anche dal punto di vista economico, poiché non ha vie alternativ­e per esportare il suo greggio, che oggi vende quasi tutto in Cina. Teheran potrebbe comunque effettuare operazioni di disturbo della navigazion­e, con ripercussi­oni amplificat­e dal fatto che il traffico marittimo oggi si tiene alla larga anche dal Mar Rosso e dai suoi due punti di accesso: il Canale di Suez e Bab- el- Mandeb. « Una situazione già difficile nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden è appena peggiorata – commenta Peter Sand, capo analista di Xeneta – e questo potrebbe mettere a rischio le importazio­ni di container e l’export di petrolio dal Medio Oriente » .

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