Treasury, balzo dei rendimenti al 4,6%
La reflazione e il rinvio dei tagli Fed mettono sotto pressione i Treasury dopo i record di collocamenti nel primo trimestre ( 7.200 miliardi) Effetto contagio causato dal super dollaro sui titoli di Stato dell’Eurozona: il rendimento del Bund sale al 2,4
Lo scorso ottobre i rendimenti dei titoli a 10 anni toccavano un picco al 5%. Per poi scendere al 3,8% a fine anno. Ieri hanno terminato le contrattazioni al 4,64%. In pochi mesi il mercato delle obbligazioni sta “dando i numeri”. Perché si porta dietro il fardello di dover provare a prezzare il futuro andamento di inflazione e crescita economica. A fine 2023, quando il tasso era sceso di 120 punti base in poche settimane dai picchi, il compito sembrava facile. Perché l’economia statunitense era vista in rallentamento, al pari dell’inflazione. Lo scenario è cambiato con i primi dati macro arrivati con il nuovo anno. L’economia americana ha mostrato segni di forza ( il Pil 2024 è stato rivisto al rialzo dall’ 1,4% al 2,1%) al pari dell’inflazione che è rimbalzata e si sta allontanando dal target del 2% ( a marzo si è attestata al 3,4% tendenziale e al 3,7% nel calcolo “core”, depurato per energetici e alimentari). Tecnicamente il quadro è quello di una reflazione e non piace alle obbligazioni ( che invece vanno più a nozze con disinflazione e/ o recessione). Per questo motivo i rendimenti stanno salendo con conseguenti minusvalenze potenziali per gli investitori. Il balzo dei tassi sul decennale ha comportato una perdita del 5% dei prezzi. Se ci si sposta su scadenze dai 20 anni in su il passivo da inizio anno è del 10%. La reflazione però non cade dal cielo, ma è a sua volta collegata alla politica fiscale allegra del Tesoro ( deficit/ Pil oltre il 6% e finora non era mai accaduto con un tasso di disoccupazione inferiore al 4%) che si nutre di nuove emissioni di titoli di debito ( nel 2023 il Tesoro ha chiesto al mercato un qualcosa come 23mila miliardi di dollari e in questo primo scorcio del 2024 siamo già a 7.200 miliardi).
Il mercato non fa sconti a nessuno, neppure alla prima economia al mondo ( tanto in termini di Pil quanto in termini di esercito). E sta chiedendo tassi più elevati perché del domani non v’è certezza, tanto più quando un governo non dà l’idea di voler porre un freno alle spese in un anno che, tra l’altro, vedrà l’elezione del nuovo presidente. A questo punto la soglia del 5% che lo scorso ottobre aveva fatto scattare acquisti e un’inversione del trend non è così lontana. Qualora ritoccata, potrà superarla? « A nostro avviso, un rendimento dei Treasury statunitensi superiore al 5% è abbastanza improbabile. Affinché questo scenario si verifichi, bisognerebbe osservare livelli di inflazione notevolmente più alti anche in futuro e non solo rispetto al recente passato - spiega Christopher Jeffery, head of macro strategy di Lgim -. La crescita degli Stati Uniti si sta mantenendo solida, in larga parte grazie al supporto fiscale, ma ciò non basta per aspettarci dei tassi d’interesse significativamente più alti, se ciò non comporta una crescita dell’inflazione » .
Molto dipenderà anche dalle tensioni geopolitiche, perché i bond sono da un lato venduti quando la narrativa è sul deficit, ma vengono comprati se il focus si sposta sull’esigenza di posizionarsi in beni rifugio. « Forze opposte potrebbero portare il rendimento dei titoli del Tesoro Usa a 10 anni più vicino al 5% entro la fine dell’anno - sottolinea Morgane Delledonne, head of investment strategy di Global X - Mentre la resilienza economica e il deficit fiscale degli Stati Uniti continueranno probabilmente a spingere al rialzo i rendimenti a lungo termine, ci sono però poche possibilità di vedere una curva inclinata verso l’alto quest’anno a causa del possibile aumento della domanda per gli stessi titoli da parte degli investitori in cerca di sicurezza nel caso in cui il conflitto in Medio Oriente dovesse aggravarsi ulteriormente » .
Il rialzo dei rendimenti Usa sta contagiando anche quelli europei che avrebbero meno ragioni per salire, a causa di un’economia più debole e di un processo di disinflazione più robusto. Ma rendimenti Usa più alti stanno facendo balzare il dollaro e, a cascata, il costo delle materie prime da importare per gli europei. Questo rischio di inflazione importata ha spinto ieri i BTp a 10 anni al 3,85% e il rispettivo Bund al 2,45 per cento.
La soglia del 5% che lo scorso ottobre aveva fatto scattare acquisti sul T- bond non è così lontana