La « capocrazia » all’italiana e il cul de sac istituzionale
Terzo mandato negato al premier in Italia, ma approvato in India: segno che Modi è una autocrazia “matura” e quella italiana è per ora una Capocrazia, come sostiene Michele Ainis ( La Nave di Teseo, pagg. 208, € 16)? Modi continua a soffiare sull’hindutwa ( induità) e non ha incontrato ostacoli per presentarsi una terza volta. Con grande probabilità, vincerà di nuovo le elezioni di maggio.
La capocrazia italiana descritta da Ainis sembra piuttosto l’anticamera di una possibile autocrazia. L’Italia ha una capocrazia ben radicata nelle istituzioni centrali e locali. Se è stata spinta dall’affermazione mediatica del leader, non ha tardato a manifestarsi tra gli stessi populisti, sia nazionalisti come Fdl sia antagonisti dell’establishment come i 5 Stelle. Ainis osserva che un presidenzialismo “di fatto” esiste già da più di vent’anni, con l’aumentato ricorso a decreti- legge, decreti delegati e dpcm,“editti in solitudine” del Presidente del Consiglio. Il sistema parlamentare funziona seguendo una logica presidenziale, lasciando inalterate ( o quasi) le regole costituzionali e del capo di governo. Alla presidente Meloni sembra inevitabile una riforma del premier perché, come ammette nell’ultima pagina anche Ainis, riallineerebbe la Costituzione scritta a quella “materiale”, alla realtà di un presidenzialismo “di fatto”. Presidenzialismo e logica del capo si sorreggono a vicenda. I Presidenti in Italia sono forse pari agli abitanti di Perugia e tutto il potere locale si stringe attorno alle migliaia di capi e capetti sul territorio, rianimati dall’elezione diretta di sindaci e “governatori” e dalla pioggia di assessori e consiglieri. La democrazia nei partiti non funziona più, perché i candidati a cariche interne ed esterne sono controllati dal capo, dal suo cerchio magico di fedelissimi e dalla mannaia ” liste bloccate”: è la capocrazia. Tuttavia, il premierato contrasta con la costituzione scritta per un regime parlamentare. Il primo scalza fatalmente il secondo: un cul de sac “all’italiana”. Impossibile un doppio binario e, secondo Ainis, tanto vale caldeggiare la creazione di un’assemblea costituente di cittadini rappresentativi, selezionati con procedure democratiche. Peccato che questa prospettiva implichi un improbabile suicidio del parlamento in carica.
L’efficacia di questo libro si rivela non solo negli approfondimenti, ma anche negli ampliamenti di riflessione che stimola.
La capocrazia italiana può essere l’anticamera di un’autocrazia ben delineata come nell’India di
Modi. Per ora, la differenza sembra farla la stabilità autocratica indiana, mentre la capocrazia italiana ammette tanti capi e, per giunta, di breve durata. Abbiamo tanti capi episodici, “usa e getta”, a conferma che non è oro tutto quel che luccica. L’autocrazia è figlia di una scelta democratica, ma è altresì revocabile ( Bolsonaro docet e anche Trump). Inoltre: le capocrazie/ autocrazie sono più performanti delle democrazie reali? Danno risultati economici e di benessere sociale maggiore, come comunemente si crede? Non esiste alcuna evidenza scientifica che l’attesti e, dati alla mano, basta comparare la situazione socioeconomica del democratico Nordeuropa con quella dell’autocrazia in India o quella nordamericana con la cinese o la russa. Dislivelli a dir poco imbarazzanti, per chi pensa che il vento autocratico che tira dall’Asia in Europa sia dovuto a un Eolo interessato all’economia e al benessere. In aggiunta, il libro ha un cuore teorico che presuppone l’implosione delle élite e l’emergere dei leader, dei capi, come scrissi nel 2015. Alla scomparsa delle élite verticali e autocentrate è seguita l’implosione delle élite democratiche, un ossimoro paralizzato dalla propria autoreferenzialità cetuale e dalla complessità di poteri plurali e frammentati. Sono emersi così i nuovi capi, non più sostenuti da élite che brillano di luce propria, come nelle vecchie direzioni e congressi dei partiti, ma da un cerchio magico di obbedienti cortigiani. Sono leader mediatici, persuasori capaci di “andare” direttamente al popolo grazie alla potenza aumentata degli schermi.
Alla fine, con Ainis mi chiederei: siamo in attesa di un premierato da Terza repubblica? O siamo destinati a rimpiangere la partitocrazia della Prima, in cui c’erano i partiti? Allora almeno i cittadini potevano scegliere chi eleggere, andavano copiosi al voto e la fiducia nella politica era di conforto. Nel rovescio odierno,“nella partitocrazia senza partiti”, ma dei capi, sta il cul de sac istituzionale di un regime ibrido: parlamentare nella Costituzione scritta, ma “presidenzialista” di fatto”.