Metalli russi banditi dalle Borse occidentali Alluminio e rame ai massimi da due anni
Lme e Cme vietano consegne di metalli prodotti dopo il 12 aprile, stop anche al nickel Si temono impatti sulla formazione dei prezzi, rischi in Europa, Cina favorita
Alluminio, nickel, rame. I metalli « made in Russia » prodotti dal 13 aprile in avanti non potranno più essere consegnati alle borse occidentali, con una misura sanzionatoria concordata tra Stati Uniti e Gran Bretagna che ha infiammato ulteriormente il rally dei non ferrosi.
Al London Metal Exchange l’impatto si è visto soprattutto sull’alluminio, che ha aperto la seduta con un balzo del 9,4%, il più forte mai registrato nella storia del contratto, che con le attuali caratteristiche esiste dal 1987. Non c’era stata un’impennata così rapida nemmeno nel 2018, quando gli Usa avevano sanzionato il magnate russo Oleg Deripaska, all’epoca azionista di controllo del colosso Rusal: una mossa che aveva gettato il mercato nel caos, spingendo Washington ad una pronta retromarcia.
Per tutti i metalli il rialzo si è ridimensionato nel corso della giornata, ma l’alluminio – di cui Mosca controlla il 5 % dell’offerta mondiale – ha comunque continuato a scambiare sopra la soglia di 2.500 dollari per tonnellata, dopo aver segnato un record da due anni a quota 2.728 dollari. Copione simile per il rame – salito ai massimi dal 2022, con un picco di 9.640 dollari – e per il nickel, che ha registrato punte di rialzo vicine al 9%, salendo fino a 19.355 dollari ( salvo poi ripiegare intorno a 17.800 dollari),.
Provengono dalla Russia il 4% dell’offerta di rame e il 6% del nickel, ma per quest’ultimo metallo l’influenza di Mosca è in realtà molto più rilevante, poiché il gruppo Norilsk – con una quota di mercato superiore al 10% – è il primo fornitore al mondo di nickel raffinato di Categoria 1: la qualità più pura e pregiata, adatta ai catodi delle batterie, nonché l’unica consegnabile al Lme.
L’impatto delle nuove sanzioni probabilmente non è ancora stato digerito del tutto dai mercati: difficile valutare con precisione le conseguenze, che potrebbero essere molto ramificate, con probabili rischi soprattutto per i consumatori europei. La Ue infatti non è autosufficiente nella produzione di metalli non ferrosi e con l’ultima crisi energetica ha perso ulteriori impianti, aumentando la dipendenza dall’estero.
Le nuove misure – va detto subito – non vietano le importazioni da Mosca, se non per i soggetti basati negli Usa e nel Regno Unito. E l’industria normalmente si rifornisce di metalli attraverso transazioni dirette con produttori o distributori commerciali, senza che le forniture passino dai magazzini delle borse. Ma lo stop ad ulteriori consegne alle maggiori borse globali ( Lme e Comex, gestito dallo statunitense Cme Group) potrebbe alterare le dinamiche di formazione dei prezzi con ripercussioni sul costo degli approvvigionamenti.
Nei magazzini della borsa metalli londinese a fine marzo erano di origine russa il 91% delle scorte di alluminio, il 62% di quelle di rame e il 37% di quelle di nickel. Nell’immediato secondo alcuni analisti le consegne potrebbero anche aumentare: basta dimostrare la produzione ante 13 aprile per mettere “al sicuro” il metallo russo, oggi sgradito a un numero crescente di consumatori. In parallelo però finirà col crearsi un doppio mercato, un po’ come è successo con il petrolio e carburanti: i metalli russi di nuova produzione tenderanno a perdere valore ( e acquirenti) in occidente e faranno rotta verso l’Asia. Ad assorbirli, suggerisce Goldman Sachs, saranno soprattutto Cina, India e Turchia. E Pechino in particolare potrebbe approfittarne per scaricare all’estero in quantità crescenti la sua produzione domestica. Nella Repubblica popolare peraltro c’è la Shanghai Futures Exchange, borsa in cui si
scambiano metalli quotati in yuan, che potrebbe acquistare maggiore rilevanza, incoraggiando ulteriormente l’impiego della valuta cinese in alternativa al dollaro.
Le sanzioni – annunciate venerdì a mercati chiusi e applicate con effetto immediato dal Lme e dal Cme Group – ricalcano per certi versi quelle adottati due anni fa per l’oro « made in Russia » : anche in quel caso si era rinunciato ad espellere dal sistema i lingotti russi già in circolazione – impresa di fatto impossibile – ma erano stati messi al bando quelli forgiati dopo una certa data ( il 7 marzo 2022). Per i non ferrosi evitare che i divieti vengano aggirati – per esempio rifondendo i metalli – potrebbe essere ancora più difficile.
Il Cremlino ha reagito con indignazione alle misure appena varate: sono « completamente illegali » e hanno già destabilizzato i prezzi, ha denunciato il portavoce Dmitry Peskov. Rusal, il maggior produttore non cinese di alluminio, ha invece dichiarato che « non ci sarà alcun impatto » sulla sua capacità di rifornire i clienti: « Le soluzioni logistiche globali per la consegna, l’accesso al sistema bancario, la produzione complessiva e i sistemi di qualità di Rusal non sono colpiti » , recita un comunicato.
Rusal tuttora genera il 28% del fatturato in Europa, anche se dopo l’invasione dell’Ucraina le vendite nel Vecchio continente si sono ridotte, mentre sono aumentate sui mercati asiatici ( che oggi pesano per il 38% delle vendite).
Le entrate russe legate all’export di metalli – benché tuttora elevate – sono crollate in parallelo, attestandosi a 15 miliardi di dollari nel 2023, dai 25 miliardi dell’anno precedente. L’ipotesi di imporre sanzioni anche in questo settore è stata esaminata più volte, ma finora – soprattutto nell’Unione europea – si è sempre proceduto con molta cautela, vista la rilevanza di Mosca come fornitore. Lo stesso Lme nel novembre 2022 aveva scartato l’idea di bandire i metalli russi dai suoi magazzini, concludendo – dopo una consultazione nel settore – che « una quota rilevante del mercato sta ancora accettando metallo russo e ne ha bisogno » e che la situazione « probabilmente non è destinata a cambiare nel prossimo futuro » .
Le misure adottate si è optato di evitare ogni restrizione per il palladio ( di cui Mosca controlla addirittura oltre il 40% dell’offerta globale), il platino e il titanio ( per entrambi la quota supera il 10%). Proprio questi metalli, secondo alcuni analisti, potrebbero diventare strumento di eventuali ritorsioni da parte del Cremlino.