« Il mercato dei capitali Ue non può più attendere »
Amministratore delegato di Scope Group « La frammentazione spiega la scarsa performance europea rispetto agli Usa »
« Il mercato dei capitali europeo non può più attendere » . A rilanciare l’attenzione sull’annosa questione del completamento della Capital Markets Union è Florian Schoeller, amministratore delegato di Scope Group, che non esita a individuare in quel cantiere eternamente aperto e nella frammentazione dei mercati dell’area euro a ormai venti anni dall’introduzione della moneta unica « gran parte dei motivi della scarsa performance economica nei confronti degli Stati Uniti e di altre aree nel mondo » .
I numeri, che Schoeller snocciola uno dietro l’altro durante un colloquio conIl con Il Sole 24 Ore, sono del resto impietosi: « Rispetto agli Usa - ammette - la capitalizzazione delle Borse europee è meno della metà, quella dei mercati obbligazionari equivale solo a un terzo e per quanto riguarda il venture capital, la raccolta è di circa un quinto » . Si tratta inoltre di « cifre sorprendenti » , a maggior ragione quando si considera che « poche aree geografiche godono di un livello di fiducia così alto verso il business come l’Europa, grazie alla sua economia diversificata, il suo stato di diritto e la sua politica stabile » .
Avviato nell’ormai lontano 2015, il progetto dell’Unione dei mercati dei capitali europei resta infatti incompiuto. « L’armonizzazione della vigilanza finanziaria, della tassazione, dei veicoli di investimento, delle infrastrutture di mercato e della disponibilità di dati non è ancora completa, né lo sono i regolamenti in materia di insolvenza a livello europeo, oltre all’assenza di regole uniformi sulla classificazione dei crediti » , lamenta il numero uno dell’agenzia di rating, che di recente è stata inclusa dalla Bce tra le idonee a operare come istituto esterno di valutazione del credito nell’Eurosistema a fianco di Dbrs, Fitch, Moody’s e S& P. La sua amara constatazione è che « le differenze regionali nei requisiti per le procedure di insolvenza creano incertezza giuridica, costi aggiuntivi e ostacolano le transazioni intra- Ue » .
Il sottodimensionamento dei mercati dei capitali europei rispetto all’importanza dell’economia e la stretta dipendenza delle imprese dal sistema bancario in tema di finanziamenti sono in parte anche conseguenza di simili ritardi. Su quest’ultimo punto in particolare, Schoeller è il primo a riconoscere che « i prestiti delle banche dovranno continuare a svolgere un ruolo importante in Europa » in ottica di diversificazione delle fonti di finanziamento, ma torna anche immediatamente a sottolineare la necessità di rilanciare le cartolarizzazioni.
Convertendo i crediti in titoli negoziabili, questo particolare strumento consente infatti alle banche di trasferire alcuni rischi agli investitori e di liberare capitale per nuovi finanziamenti, rappresentando quindi un ponte ideale tra i finanziamenti bancari e quelli del mercato dei capitali. « A differenza di quello Usa il mercato europeo delle cartolarizzazioni non si è ancora ripreso dalla crisi finanziaria globale » , osserva Schoeller, ammettendo che a poco sono valsi i tentativi della Ue di rilanciarlo con l’introduzione del quadro di riferimento semplice, trasparente e standardizzato ( Sts) e avvertendo quindi « il bisogno di un’ulteriore spinta » .
Al tempo stesso la creazione di un asset europeo percepito come « sicuro » da parte degli investitori come l’Eurobond, un titolo che sia a sua volta in grado di competere con i Treasury statunitensi, contribuirebbe secondo il manager « allo sviluppo della stessa Capital Markets Union anche attraverso il rafforzamento del ruolo dell’euro come valuta di riserva » . Sarebbe, anche questo, un ulteriore intervento funzionale per l’Europa a raggiungere l’obiettivo sottolineato in partenza di « lavorare per creare un mercato dei capitali più forte al fine di sfruttare a pieno il suo potenziale economico, stimolando i flussi di investimenti istituzionali a lungo termine » . Di qui l’appello che Schoeller rivolge ai responsabili politici europei, ai quali consiglia di « evitare l’errore di agire poco e in ritardo in materia finanziaria » ricorrendo alle parole pronunciate da Mario Draghi quando sedeva alla guida della Bce: « Non agire è il rischio più grande » .