Magistrati nella spirale della supplenza legislativa
Dibattito in Cassazione con la presidente Cassano e il Pg Salvato Altro tema dell’incontro il rapporto con gli altri ordinamenti
In un momento storico nel quale la qualità della produzione legislativa è « precipitata » – per la verità non da oggi, e non solo per il progressivo scivolamento verso le pieghe del potere esecutivo – il ruolo della magistratura rischia di diventare « sin troppo » supplente, al punto di sconfinare in zone di ultra- competenza. Tra il ( corretto) « meccanismo dell’interpretazione » e il contrappeso contemporaneo del « creazionismo giudiziario » , la virtù starebbe come al solito nel mezzo, ma spetta al giudice meritarsela attraverso lo studio e la specializzazione che, per citare Giacomo Leopardi, « o è enciclopedica o non è nulla » .
Nell’aula magna della Corte di cassazione, iniziativa dell’Anm per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’attuale ruolo della magistratura in Italia, il dibattito introdotto dalla presidente Margherita Cassano e dal procuratore generale Luigi Salvato, mette a confronto il presidente emerito della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, Massimo Luciani, già presidente dei costituzionalisti italiani, e i consiglieri di Cassazione Enrico Scoditti, Rita Russo e Filippo D’Aquino.
La vicenda d’innesco del dibattito è s l’ormai arcinoto “caso Apostolico”, la giudice che in sede di interpretazione del decreto Cutro ( Dl n. 20/ 2023) sul trattenimento dei migranti e la relativa prestazione della garanzia finanziaria aveva disapplicato la legge, originando il contenzioso che aveva poi portato le Sezioni unite, con le ordinanze interlocutorie 3562 e 3563/ 2024, a investire la Corte di giustizia Ue. Caso emblematico, questo, per inserirsi nel delicato crocevia di diritti, poteri e sistemi giuridici interoperanti in una fase storica di epocali transizioni, cambiamenti che hanno lasciato alle spalle le granitiche certezze post belliche della nostra Carta, ricollocandole in un sistema di diritti e valori che, in altri momenti storici, erano cristallinamente in capo al potere politico ( legislativo).
Solo che nei prolungati vuoti di funzione, il rischio di invertire il processo di perimetrazione dei diritti fondamentali ( quelli « umani » sono terreno elettivo della Cedu) con una totale deriva giudiziaria è palpabile e, come dice Luciani, scorretto perché « non può essere il giudice l’interprete delle correnti profonde della società, ruolo che in un sistema liberal democratico deve essere affidato alla rappresentanza » . E ciò nell’interesse della stessa magistratura, che varcato quel Rubicone si troverebbe oltre il guado della « responsabilità » , che in un sistema normale è invece la cifra della politica. In ogni caso il posizionamento dei giudici, tirati volenti o nolenti nella graticola dei social, dovrebbe consigliar loro stili e comportamenti di adeguata sobrietà, per non amplificare il rischio di attacchi/ denigrazione che nella storia sono stati una costante, ma senza il megafono social appunto.
Il tema finale e più delicato ha riguardato il rapporto con gli altri ordinamenti, dalla “resilienza” della Costituzione, più datata ( 1948) rispetto a norme sovranazionali fondamentali sovraordinate più recenti, alla crisi del dovere di lealtà del giudice al diritto domestico, come avvenuto per esempio in Polonia, dove si è assistito ad analoghe situazioni di conflitto tra diritto interno e diritto dell’Unione, oltre che tra ordine giudiziario e potere politico ( caso deciso dalla Cedu, Walesa c/ Polonia 23 novembre 2023).
Il tutto da inquadrare sullo sfondo della cessione di sovranità che il diritto sovranazionale richiede ai singoli Stati.