Il Sole 24 Ore

Imprese e Pa a caccia di talenti Chi ci investe cresce di più

Rapporto Cotec 2024: la spinta alla competitiv­ità aumenta il fatturato ( 41% delle realtà Talent strategy) e l’export ( 36%). Ma occorre far salire i laureati e arginare i cervelli in fuga

- Claudio Tucci

C’è un filo rosso che lega innovazion­e, crescita e produttivi­tà di imprese e pubblica amministra­zione, e passa per la valorizzaz­ione del capitale umano, e soprattutt­o dei talenti. La quota di aziende infatti che si attendono quest’anno un aumento di fatturato è maggiore tra quelle che adottano pratiche per trattenere e attrarre talenti rispetto alle altre ( 41% contro 31%), evidenzia un’ indagine realizzata dal centro studi Taglia carneUni on camere, su un campione di 4mila imprese manifattur­iere e dei servizi, contenuta nel report 2024 Cotec - Fondazione per l’Innovazion­e, che viene presentato e discusso oggi a Roma da responsabi­li Hr aziendali e università, assieme al ministro per la Pa, Paolo Zangrillo.

Emerge una spinta alla competitiv­ità che si esprime anche sui mercati internazio­nali: un aumento dell’export, sempre nel 2024, è atteso dal 36% delle imprese “Talent strategy” contro il 26% nel caso delle altre imprese. Gli effetti sono ancor più pronunciat­i se sono presenti laureati nelle discipline Stem, quelle cioè scientific­o- tecnologic­he. Crescita economica, quindi, che si accompagna, in parte, a quella occupazion­ale visto che le aziende “Talent strategy” prevedono un aumento della forza lavoro più consistent­e rispetto a quelle che non lo sono ( 23% contro 17%).

Ma se complessiv­amente sono circa due terzi ( 66%) le imprese “Talent strategy”, la nota dolente è che questi giovani ad alto livello di istruzione, e di cui c’è bisogno, sono pochi, e una fetta se va pure via dall’Italia ( l’Istat attesta che tra il 2012 e il 2021 circa 80mila laureati sono emigrati), spinti dalla ricerca non solo di migliori retribuzio­ni, ma anche di maggiori possibilit­à di carriera, di sviluppo e di benessere aziendale, inclusa un’adeguata work- life balance, come racconta un focus di Intesa Sanpaolo e università di Padova che hanno stilato l’identikit dell’expat laureato veneto.

Senza girarci troppo intorno siamo di fronte a una delle principali sfide per il mercato del lavoro, pubblico e privato, italiano, alle prese con le rivoluzion­i green e tecnologic­he in atto e con la messa a terra del Pnrr ( alla luce anche della forte denatalità che ogni anno fa perdere sui banchi 100/ 110mila studenti).

Certamente un numero da cambiare ( e in fretta) è il basso tasso di laureati. Siamo al penultimo posto nella classifica Ue di giovani tra i 25 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria ( circa 29% contro il 41% della media Ue). La quota di “colletti bianchi” nelle discipline Stem è ancora troppo bassa, circa il 26,5% nel periodo 2011- 2022, con una forte differenza tra donne e uomini nella scelta dell’indirizzo di studio. Nel caso delle donne, le lauree Stem rappresent­ano appena il 18,1% del totale, contro il 38% degli uomini. Abbiamo inoltre bisogno di 47mila diplomati Its Academy l’anno, e l’offerta invece è di poche migliaia.

C’è poi un problema di attrattivi­tà delle università italiane rispetto ai laureati internazio­nali: siamo in crescita ( passiamo dal 2,1 medio del 2022- 2014, al 2,7 medio dei laureati totali in Italia nel 2019- 2022), ma sono cifre troppo basse. Anche la situazione dei dottorati di ricerca è analoga a quella dei laureati, e quindi poco allineata ai Paesi nostri competitor. Nel periodo 2012- 2022 si conta una media di circa 9.500 diplomi di dottorato l’anno, dato peraltro in riduzione. Di essi il 48,3% ricade nell’area Stem, meno di 5mila l’anno, un valore assolutame­nte insufficie­nte per un Paese come l’Italia.

Una spinta può arrivare dalle start up innovative ( a fine 2023 se ne contano 13.402), ma non c’è dubbio che la questione talenti è anche un problema di strategie organizzat­ive. Le imprese che li trattengon­o utilizzano essenzialm­ente tre leve: incentivaz­ione economica, flessibili­tà negli orari di lavoro, benefit aziendali. Ma se non iniziamo a risolvere i nodi struttural­i legati a giovani e capitale umano, a cominciare da un buon orientamen­to in classe, alla lunga anche queste misure, da sole, rischiano di non bastare.

Troppo bassa la quota di laureati nelle discipline Stem. Numeri insufficie­nti anche sui dottorati di ricerca

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