Italiani all’estero: il nodo irrisolto
In audizione Calvano propone d’introdurre ius soli e ius scholae
Come risolvere il nodo del voto dei cinque milioni di italiani all’estero, che in caso di elezione « a suffragio universale e diretto » pesano come il 10% dell’elettorato e potrebbero dunque ribaltare il risultato? Finora il loro voto per il Parlamento è stato incanalato nella circoscrizione estero, che elegge quattro senatori e otto deputati. Ma con l’elezione diretta, lo dice la parola, un voto vale uno...
La questione è stata riproposta ieri, durante l’ultimo ciclo di audizioni in commissione Affari costituzionali sul Ddl Casellati, dalla professoressa della Sapienza Roberta Calvano che per prima la aveva sollevata nel dicembre scorso. E le soluzioni proposte sono piuttosto drastiche: a Costituzione invariata o si cancella la possibilità del voto per corrispondenza previsto dalla legge 459/ 2001 oppure si riforma la legge 91/ 1992 sulla cittadinanza introducendo una combinazione di ius soli e ius scholae. Ossia due bestie nere per il centrodestra, da sempre avverso. « La cittadinanza andrebbe attribuita a chi non è nato su suolo italiano previo superamento di un esame - è il ragionamento fatto da Calvano in commissione -. Basterebbe un quiz a risposta multipla, di conoscenza minima della lingua e delle istituzioni. Tale esame potrebbe essere sottoposto a coloro che chiedono il rinnovo dell’iscrizione all’Aire, che potrebbe essere previsto periodicamente, per garantire la completezza degli elenchi degli italiani all’estero, oggi non pienamente aggiornati. In questo modo si produrrebbe un effetto in qualche misura dissuasivo dall’esercizio della partecipazione di coloro che non hanno o hanno molto flebili legami con il territorio nazionale, se non addirittura la perdita della cittadinanza » .
Suggerimenti che appaiono alle orecchie del governo più che altro come provocazioni, quelli della professoressa Calvano, ma che ben rendono l’idea di come il nodo del voto degli italiani all’estero sia difficile da sciogliere se si vuole mantenere il principio dell’elezione diretta. L’esperto di sistemi elettorali Giuseppe Calderisi ritiene da parte sua che l’unica soluzione sarebbe quella di « determinare l’esito delle elezioni in base ai seggi » . Ma in questo caso, spiega al Sole 24 Ore, « non si potrebbe più scrivere che il premier è eletto “a suffragio universale e diretto” ma si potrebbe comunque scrivere che “è eletto il candidato premier collegato con la lista o la coalizione di liste che ottiene più seggi o supera una certa soglia” » . Insomma, quello del sistema con cui si elegge il premier resta un vero rebus. E non solo per gli italiani all’estero. Ieri è stato il dem Dario Parrini a ricordare ancora una volta che « saremmo l’unico Paese occidentale in cui si elegge direttamente una carica monocratica nazionale senza costituzionalizzare la regola della maggioranza assoluta, cioè della soglia del 50% con ballottaggio a due se nessuno la raggiunge » . Intanto il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che aveva presentato a sua volta un Ddl costituzionale per l’elezione diretta del premier, si sfila lasciando la maggioranza sola: « Il premierato è una buona idea, come il Pd e prima il Pds hanno sempre sostenuto. Ma il modello della Casellati è uno schifezzellum: non possiamo votare a favore » .