Le asimmetrie fiscali in Europa non aiutano l’azionariato diffuso
L’apertura del capitale d’impresa resta appannaggio prevalentemente di top manager e manager grazie ai piani di incentivazione
« Negli ultimi anni il numero di aziende italiane che hanno scelto di abbracciare i piani di azionariato diffuso sta lentamente crescendo benché non rappresenti ancora un fenomeno che possa definirsi diffuso » . Edoardo Cesarini, amministratore delegato di Wtw ( Willis Towers Watson) Italia, storica società americana quotata al Nasdaq che fornisce soluzioni nelle aree People, Risk e Capital in 140 Paesi, ha molta familiarità con il tema che analizza e su cui lavora da molti anni. Sebbene il fenomeno non sia così diffuso, tuttavia si osserva un certo dinamismo. Dopo gli ultimi piani annunciati, come quelli di Eni e UniCredit, in rampa di lancio ci sono anche altre grandi società che stanno valutando l’ipotesi.
Se il nostro Paese ha una situazione molto diversa da quella che troviamo in Francia o nel Regno Unito o in Germania, dove c’è una maggiore diffusione dei piani, tuttavia non è così lontano da altri Paesi europei. Questo accade perché nel vecchio continente pesa « la mancanza di un quadro normativo armonico europeo, con forti asimmetrie fiscali che rende ancora poco diffuso il ricorso allo strumento » , afferma Cesarini. La partecipazione al capitale d’impresa è così appannaggio prevalente di top manager e manager, grazie ai piani di long term incentives equity based. E il livello di inclusione dei dipendenti è modesto.
Ogni volta che una società annuncia un piano l’eco diventa molto forte. « Vanno accolte e lette con favore le recenti iniziative mosse anche da aziende partecipate dallo Stato italiano, basti pensare ad Eni e Fincantieri, che si sono mosse su un terreno che consente un coinvolgimento diretto ai risultati aziendali - interpreta Cesarini -. Il fenomeno dell’azionariato diffuso va comunque letto in una logica di medio periodo. Le aziende scelgono, anche in considerazione di particolari momenti della loro vita economica e sociale, di attivare il piano di azionariato diffuso che non deve essere ipotizzato come una presenza strutturale dell’offerta di reward. Se infatti osserviamo il fenomeno su un orizzonte pluriennale già troviamo un nutrito gruppo di aziende italiane che hanno scelto questo strumento per distinguersi e per veicolare una serie di messaggi alla propria comunità di donne e uomini che rappresentano un asset strategico » .
Gli aspetti positivi dei piani di azionariato diffuso si possono individuare sia all’interno che all’esterno delle organizzazioni. « All’interno - dice Cesarini - i piani hanno la capacità di offrire una risposta all’erosione del reddito reale che si è registrato per effetto anche delle spinte inflazionistiche, permettendo alla comunità di lavoratori di partecipare al valore che il loro lavoro genera » . Inoltre c’è anche un effetto sulla motivazione, sul senso di appartenenza e sulla capacità delle imprese di trattenere le persone che « si sentono parte di un progetto più ampio e diffuso. Sappiamo come l’engagement sia tra le maggiori energie positive che muovono le nostre organizzazioni economiche, funge da acceleratore delle performance aziendali e conseguentemente ha un positivo riscontro economico. Può essere considerato anche uno strumento di democratizzazione, in quanto i dipendenti assumono gli stessi diritti degli altri azionisti in termini di governance. Questo processo può essere un elemento da spendersi in sede di relazioni industriali, avvicinando sempre di più gli effetti economici ai tavoli decisionali, rilanciando la centralità della contrattazione aziendale » .
Se invece si guarda all’esterno i piani possono centrare « l’obiettivo di rendere più stabile la compagine azionaria, sia per effetto di una stratificazione delle assegnazioni sia per i meccanismi di lockup e retention tipici di questi piani » , osserva Cesarini. C’è poi un altro elemento ancora da non sottovalutare e cioè la capacità di creare cultura finanziaria: « Sappiamo come l’Italia sia uno dei Paesi più esposti alla fragilità finanziaria anche per mancanza di una educazione in tal senso. Come direbbero gli economisti è una “spinta gentile” per aiutare le persone ad interessarsi ai temi economici e a diventare più pronti a gestire le loro finanze » .
GLI IMPATTI Le persone si sentono parte di un progetto più ampio e diffuso: aumentano motivazione e retention dei talenti