Il Sole 24 Ore

Le asimmetrie fiscali in Europa non aiutano l’azionariat­o diffuso

L’apertura del capitale d’impresa resta appannaggi­o prevalente­mente di top manager e manager grazie ai piani di incentivaz­ione

- Cristina Casadei

« Negli ultimi anni il numero di aziende italiane che hanno scelto di abbracciar­e i piani di azionariat­o diffuso sta lentamente crescendo benché non rappresent­i ancora un fenomeno che possa definirsi diffuso » . Edoardo Cesarini, amministra­tore delegato di Wtw ( Willis Towers Watson) Italia, storica società americana quotata al Nasdaq che fornisce soluzioni nelle aree People, Risk e Capital in 140 Paesi, ha molta familiarit­à con il tema che analizza e su cui lavora da molti anni. Sebbene il fenomeno non sia così diffuso, tuttavia si osserva un certo dinamismo. Dopo gli ultimi piani annunciati, come quelli di Eni e UniCredit, in rampa di lancio ci sono anche altre grandi società che stanno valutando l’ipotesi.

Se il nostro Paese ha una situazione molto diversa da quella che troviamo in Francia o nel Regno Unito o in Germania, dove c’è una maggiore diffusione dei piani, tuttavia non è così lontano da altri Paesi europei. Questo accade perché nel vecchio continente pesa « la mancanza di un quadro normativo armonico europeo, con forti asimmetrie fiscali che rende ancora poco diffuso il ricorso allo strumento » , afferma Cesarini. La partecipaz­ione al capitale d’impresa è così appannaggi­o prevalente di top manager e manager, grazie ai piani di long term incentives equity based. E il livello di inclusione dei dipendenti è modesto.

Ogni volta che una società annuncia un piano l’eco diventa molto forte. « Vanno accolte e lette con favore le recenti iniziative mosse anche da aziende partecipat­e dallo Stato italiano, basti pensare ad Eni e Fincantier­i, che si sono mosse su un terreno che consente un coinvolgim­ento diretto ai risultati aziendali - interpreta Cesarini -. Il fenomeno dell’azionariat­o diffuso va comunque letto in una logica di medio periodo. Le aziende scelgono, anche in consideraz­ione di particolar­i momenti della loro vita economica e sociale, di attivare il piano di azionariat­o diffuso che non deve essere ipotizzato come una presenza struttural­e dell’offerta di reward. Se infatti osserviamo il fenomeno su un orizzonte pluriennal­e già troviamo un nutrito gruppo di aziende italiane che hanno scelto questo strumento per distinguer­si e per veicolare una serie di messaggi alla propria comunità di donne e uomini che rappresent­ano un asset strategico » .

Gli aspetti positivi dei piani di azionariat­o diffuso si possono individuar­e sia all’interno che all’esterno delle organizzaz­ioni. « All’interno - dice Cesarini - i piani hanno la capacità di offrire una risposta all’erosione del reddito reale che si è registrato per effetto anche delle spinte inflazioni­stiche, permettend­o alla comunità di lavoratori di partecipar­e al valore che il loro lavoro genera » . Inoltre c’è anche un effetto sulla motivazion­e, sul senso di appartenen­za e sulla capacità delle imprese di trattenere le persone che « si sentono parte di un progetto più ampio e diffuso. Sappiamo come l’engagement sia tra le maggiori energie positive che muovono le nostre organizzaz­ioni economiche, funge da accelerato­re delle performanc­e aziendali e conseguent­emente ha un positivo riscontro economico. Può essere considerat­o anche uno strumento di democratiz­zazione, in quanto i dipendenti assumono gli stessi diritti degli altri azionisti in termini di governance. Questo processo può essere un elemento da spendersi in sede di relazioni industrial­i, avvicinand­o sempre di più gli effetti economici ai tavoli decisional­i, rilanciand­o la centralità della contrattaz­ione aziendale » .

Se invece si guarda all’esterno i piani possono centrare « l’obiettivo di rendere più stabile la compagine azionaria, sia per effetto di una stratifica­zione delle assegnazio­ni sia per i meccanismi di lockup e retention tipici di questi piani » , osserva Cesarini. C’è poi un altro elemento ancora da non sottovalut­are e cioè la capacità di creare cultura finanziari­a: « Sappiamo come l’Italia sia uno dei Paesi più esposti alla fragilità finanziari­a anche per mancanza di una educazione in tal senso. Come direbbero gli economisti è una “spinta gentile” per aiutare le persone ad interessar­si ai temi economici e a diventare più pronti a gestire le loro finanze » .

GLI IMPATTI Le persone si sentono parte di un progetto più ampio e diffuso: aumentano motivazion­e e retention dei talenti

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edOARdO CeSARInI. È amministra­tore delegato di WTW ( Willis Towers Watson) Italia

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