Il Sole 24 Ore

Accollo dei debiti irrilevant­e nell’omologa con assuntore

Non si applica l’imposta proporzion­ale di registro L’operazione quale atto accessorio di una clausola negoziale non è imponibile

- Andrea Di Dio

La Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia torna ad occuparsi della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, del decreto di omologa di un concordato fallimenta­re con terzo assuntore, discostand­osi sensibilme­nte dalle indicazion­i della prassi interpreta­tiva dell’Amministra­zione finanziari­a.

Stando all’orientamen­to dell’agenzia delle Entrate in caso di concordato con trasferime­nto dei beni al terzo assuntore, prevalendo l’effetto immediatam­ente traslativo del decreto di omologazio­ne del concordato fallimenta­re ( in quanto è già con tale provvedime­nto che il terzo assuntore acquista i beni fallimenta­ri) il decreto deve essere ricondotto all’ambito dell’articolo 8, lettera a), della Tariffa, Parte I, allegata al Tur, che prevede per i provvedime­nti giudiziari « recanti trasferime­nto o costituzio­ne di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti » l’applicazio­ne dell’imposta di registro con le stesse aliquote previste per i corrispond­enti atti.

Tuttavia, al fine di determinar­e l’imposta di registro in misura proporzion­ale in concreto applicabil­e, secondo l’Amministra­zione finanziari­a occorre porre a confronto ( i) l’imposizion­e gravante sulla parte del decreto relativo all’accollo dei debiti scaturenti dal concordato, soggetti all’imposta nella misura del 3% ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, e ( ii) l’imposizion­e gravante sui beni dell’attivo fallimenta­re trasferiti per effetto del concordato ( in tal senso, risoluzion­e n. 27/ 2012 e circolare n. 27/ 2012).

Secondo l’Amministra­zione finanziari­a, quindi, l’imposta di registro deve essere applicata come se l’atto contenesse la sola disposizio­ne che dà luogo alla imposizion­e più onerosa, da determinar­e avendo riguardo sia all’aliquota che alla base imponibile, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del Tur.

L’effetto pratico di tale approccio è – a titolo esemplific­ativo - che, in presenza di un attivo composto esclusivam­ente da crediti, e a fronte di un debito accollato di pari importo, tra l’imposta di registro applicabil­e al trasferime­nto dei crediti ( 0,5%, art. 6 della Tariffa, Parte I, allegata al Tur) e a quella applicabil­e all’accollo del debito ( 3%, art. 9 della medesima Tariffa, Parte I), si renderebbe sempre applicabil­e quella più onerosa.

I giudici di seconde cure della Lombardia, con sentenza 747/ 2024 depositata l’ 11 marzo scorso, sono pervenuti a conclusion­i diverse, ritenendo che l’assunzione delle passività rappresent­i un effetto fisiologic­o del concordato con terzo assuntore, con la conseguenz­a che – sul piano fiscale - non potrebbe trovare applicazio­ne il principio dell’imposizion­e più onerosa risultando, piuttosto, l’accollo quale atto accessorio e dovuto alla stregua di una clausola negoziale del debito accollato, come tale non autonomame­nte sottoponib­ile all’imposta di registro ( richiamand­o, peraltro, i principi recentemen­te espressi dalla Suprema Corte nelle decisioni 25924/ 2022 e 31530/ 2023) ai sensi dell’art. 21, comma 3, del Tur. Tale previsione, infatti, costituisc­e lex specialis rispetto al comma precedente, e rispecchia la volontà del legislator­e di escludere l’accollo dall’imposta di registro, al fine di evitare una eccessiva imposizion­e per lo stesso atto non conforme al principio di capacità contributi­va.

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