Accollo dei debiti irrilevante nell’omologa con assuntore
Non si applica l’imposta proporzionale di registro L’operazione quale atto accessorio di una clausola negoziale non è imponibile
La Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Lombardia torna ad occuparsi della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, del decreto di omologa di un concordato fallimentare con terzo assuntore, discostandosi sensibilmente dalle indicazioni della prassi interpretativa dell’Amministrazione finanziaria.
Stando all’orientamento dell’agenzia delle Entrate in caso di concordato con trasferimento dei beni al terzo assuntore, prevalendo l’effetto immediatamente traslativo del decreto di omologazione del concordato fallimentare ( in quanto è già con tale provvedimento che il terzo assuntore acquista i beni fallimentari) il decreto deve essere ricondotto all’ambito dell’articolo 8, lettera a), della Tariffa, Parte I, allegata al Tur, che prevede per i provvedimenti giudiziari « recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti » l’applicazione dell’imposta di registro con le stesse aliquote previste per i corrispondenti atti.
Tuttavia, al fine di determinare l’imposta di registro in misura proporzionale in concreto applicabile, secondo l’Amministrazione finanziaria occorre porre a confronto ( i) l’imposizione gravante sulla parte del decreto relativo all’accollo dei debiti scaturenti dal concordato, soggetti all’imposta nella misura del 3% ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, e ( ii) l’imposizione gravante sui beni dell’attivo fallimentare trasferiti per effetto del concordato ( in tal senso, risoluzione n. 27/ 2012 e circolare n. 27/ 2012).
Secondo l’Amministrazione finanziaria, quindi, l’imposta di registro deve essere applicata come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa, da determinare avendo riguardo sia all’aliquota che alla base imponibile, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del Tur.
L’effetto pratico di tale approccio è – a titolo esemplificativo - che, in presenza di un attivo composto esclusivamente da crediti, e a fronte di un debito accollato di pari importo, tra l’imposta di registro applicabile al trasferimento dei crediti ( 0,5%, art. 6 della Tariffa, Parte I, allegata al Tur) e a quella applicabile all’accollo del debito ( 3%, art. 9 della medesima Tariffa, Parte I), si renderebbe sempre applicabile quella più onerosa.
I giudici di seconde cure della Lombardia, con sentenza 747/ 2024 depositata l’ 11 marzo scorso, sono pervenuti a conclusioni diverse, ritenendo che l’assunzione delle passività rappresenti un effetto fisiologico del concordato con terzo assuntore, con la conseguenza che – sul piano fiscale - non potrebbe trovare applicazione il principio dell’imposizione più onerosa risultando, piuttosto, l’accollo quale atto accessorio e dovuto alla stregua di una clausola negoziale del debito accollato, come tale non autonomamente sottoponibile all’imposta di registro ( richiamando, peraltro, i principi recentemente espressi dalla Suprema Corte nelle decisioni 25924/ 2022 e 31530/ 2023) ai sensi dell’art. 21, comma 3, del Tur. Tale previsione, infatti, costituisce lex specialis rispetto al comma precedente, e rispecchia la volontà del legislatore di escludere l’accollo dall’imposta di registro, al fine di evitare una eccessiva imposizione per lo stesso atto non conforme al principio di capacità contributiva.