« Il made in Italy è un terzo dell’export Resiste alle crisi, va difeso e promosso »
Il presidente di Unioncamere sul valore del brand. Qualità, velocità e design i valori più apprezzati nel mondo. « Incrementare le esportazioni in Paesi che hanno voglia di Italia »
« Un dato è certo: chi compra made in Italy è disposto a pagare di più per il solo fatto che si tratti di prodotti italiani. Tutto ciò vale oltre un terzo del valore delle esportazioni » . Andrea Prete, presidente di Unioncamere, presenta lo studio « Quale valore del brand Made in Italy nel mondo » , realizzato da Unioncamere in collaborazione con la rete di Assocamerestero e la rete delle CdC italiane all’estero. La ricerca è stata presentata ieri a Roma durante il convegno « Italia: un valore nel mondo » , alla presenza tra gli altri del ministro Adolfo Urso. Ha inviato un videomessaggio il presidente Mattarella.
Emergono dati interessanti, alcuni prevedibili, altri meno.
È così, ma io penso che sia interessante il concetto di fondo: il valore e la iconicità del brand Italia. Qualità, stile, design, sono le caratteristiche che i consumatori stranieri apprezzano del made in Italy. E che fanno sì che gli italiani possano essere identificati come quelli che hanno buon gusto ed eleganza.
Ma di quale tessuto imprenditoriale parliamo?
Lo studio fissa un perimetro e considera solo le imprese che operano nei settori delle 4A: abbigliamento, automotive, alimentare e arredamento. Queste occupano 2,1 milioni di lavoratori, generano 454 miliardi di fatturato, 105,5 miliardi di valore aggiunto e 193,4 miliardi di export. Mentre il totale export 2023 del made in Italy, che comprende anche altri settori come chimica, farmaceutica, meccanica e altro, ammonta a 420 miliardi. Lo studio è stato realizzato sentendo 3mila soggetti, tra cui aziende italiane iscritte alla rete delle Camere di Commercio, imprese italiane esportatrici, distributori e fornitori di prodotti italiani. Mentre sono stati fatti ben cinque focus group con le Camere di commercio italiane all’estero di Johannesburg, Londra, New York, San Paolo e Tokyo.
Le imprese del made in Italy, come se la cavano tra inflazione e crisi geopolitiche?
L’economia mondiale è influenzata da 17 fattori di crisi congiunturale, mai verificati prima contemporaneamente: pandemia, invasione militare di un Paese nel cuore dell’Europa e guerra nella striscia di Gaza, per citare solo i principali. Eventi non prevedibili e che hanno repentinamente modificato il contesto. Al contrario, fino a qualche anno fa, la globalizzazione ci aveva abituato all’idea di poter avere relazioni con tutti i Paesi, o quasi. In cui vendere prodotti o anche andare a investire. Oggi la situazione geopolitica è cambiata e rende problematiche le relazioni economiche. Pensiamo alla Russia, a esempio, con cui l’Italia aveva intense relazioni commerciali che si sono quasi annullate. Non resta che adeguarsi e compensare i mercati che si chiudono con nuovi mercati.
E l’inflazione?
Il settore del made in Italy nel complesso resiste anche all’inflazione. Dalla ricerca emerge che per il 36,6% degli intervistati la crisi inflattiva non ha avuto alcun impatto. Più precisamente, per il 26,67% i volumi di vendita sono rimasti costanti e, addirittura, il 9,9% ha registrato una crescita. Per il 23,9% si parla di lieve impatti recuperabile.
Parliamo di export, ma sono significativi anche i consumi interni.
È così, ma preciso che sotto la voce consumi interni ricadono anche gli acquisti dei turisti stranieri. Turismo e made in Italy sono settori che si alimentano a vicenda. Il turismo cresce e porta con sè altri consumatori dei nostri prodotti.
Come difendere il valore del made in Italy e come far crescere ancora il brand?
L’ulteriore affermazione nel mondo avverrà: in Paesi come Cina, India, e altri cresce il tenore di vita e aumentano i potenziali acquirenti di made in Italy. Non resta altro da fare che difendere in ogni modo la reputazione e far conoscere sempre meglio il brand Italia. Il sistema delle Camere di commercio, in
Italia e all’estero, lavora su questo fronte e può fare ancora di più.
Cosa? Faccia qualche esempio L’obiettivo deve essere incrementare le esportazioni in Paesi che hanno voglia di Italia. Ci sono almeno 40mila imprese che finora hanno esportato in maniera saltuaria, non avendo all’interno l’organizzazione necessaria per farlo stabilmente. Le Camere di commercio possono essere di grande aiuto. Poi pensiamo al settore alimentare: se recuperassimo una parte del mercato dell’italian sounding avremmo fatto un altro importante lavoro. Se oggi è il quinto Paese esportatore del mondo e, in
Europa, secondo dopo la Germania, in un futuro vicino l’Italia potrebbe senz’altro scalare posizioni. Una parte del lavoro la faranno proprio gli italiani che vivono all’estero.
In che modo?
Sono i nostri migliori ambasciatori. Le nostre Camere all’estero sono associazioni di italiano emigrati o di figli di italiani. Stiamo pensando ad alcuni progetti. A esempio, per invitare persone a lavorare in Italia visto che le nostre imprese lamentano una carenza di risorse umane, e favorire in questo modo una emigrazione di ritorno.
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Abbigliamento, automotive, alimentare e arredamento occupano 2,1 milioni di lavoratori per 454 miliardi di ricavi
Dalle 4A, le più apprezzate dagli stranieri, 105,5 miliardi di valore aggiunto e 193,4 miliardi di export