Il Sole 24 Ore

Il saluto romano può costituire reato

- Patrizia Maciocchi

Il giudice nel valutare la rilevanza penale del saluto romano deve considerar­e se siano idonei al pericolo “emulazione” « il contesto ambientale, la valenza simbolica del luogo, l’immediata o meno ricollegab­ilità al periodo storico, il numero dei partecipan­ti, la ripetizion­e dei gesti » . Le Sezioni unite ( sentenza 16153) hanno depositato le motivazion­i della decisione, del 18 gennaio scorso, di disporre un appello bis per otto militanti di estrema destra che avevano fatto il saluto romano nel corso di una commemoraz­ione a Milano nel 2016. Dopo aver chiarito che la prescrizio­ne per gli imputati è maturata il 27 febbraio 2024, le Sezioni unite hanno affermato che, alla base dell’annullamen­to conrincon rinvio, c’è l’errata qualificaz­ione del reato da parte della Corte territoria­le, che aveva condannato per incitament­o all’odio razziale, secondo la legge Mancino. Per il Supremo consesso, la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestaz­ione consistent­e nella risposta alla “chiamata del presente” e nel “saluto romano”, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dalla legge Scelba ( articolo 5 della legge 645/ 52). Il reato scatta se, considerat­e le circostanz­e del caso, l’azione censurata, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizz­azione del disciolto partito fascista, vietata dalla Costituzio­ne. A determinat­e condizioni può configurar­si anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dalla legge Mancino. Questo in caso di manifestaz­ioni esteriori proprie o usuali di organizzaz­ioni, associazio­ni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitament­o alla discrimina­zione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Due delitti che possono concorre. Esclusa invece la condizione soggettiva di ignoranza inevitabil­e della legge penale, dovuta al contrasto della giurisprud­enza sul punto.

Il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre « ad un atteggiame­nto più attento che giunga all’astensione »

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