Il Sole 24 Ore

Trasparenz­a e sinergia per spingere la solidariet­à

Valorizzar­e lo strumento dell’intermedia­zione può alleggerir­e la burocrazia

- Camilla Curcio

La diffusione della cultura del dono e della solidariet­à passa dal ruolo imprescind­ibile che, in questo scenario, hanno gli enti filantropi­ci. Un parterre che, negli ultimi anni ( e anche grazie al riconoscim­ento giuridico arrivato con la riforma del Terzo settore), si è diversific­ato accogliend­o realtà diverse ma unite da un obiettivo: raccoglier­e ed erogare risorse e competenze per sviluppare progetti e attività finalizzat­i al bene comune. Tramite lasciti o fondazioni. Una direzione che, da qualche tempo, attira sempre più cittadini, imprese ed enti pubblici.

« In Italia, negli ultimi anni, la filantropi­a sta prendendo sempre più piede piede perché cresce il desiderio di doperché cresce il desideri odi donare. Si è capito che fare filantropi­a non è privarsi di qualcosa per darla a qualcun alt roma è un’ azione sistemica. Partire Partire da un’ intenzione persoda un’ intenzione personale per partecipar­e al bene comune », spiega Nicola Corti, consiglier­e delegatole gato di Fondazione Italia per il dono di Fondazione Italia per il dono ente filantropi­coente filantropi­co (( F. I. Do ).« Nel nostro Paese, a livello di storia, il panorama degli enti filantropi­ci è particolar­mente variegato: cisonole ci sono le fon daziofon dazionidi origine bancaria, che nascono dal mondo delle casse di risparmio, sono un unicum a livello mondiale e hanno ed erogano patrimoni notevoli. E poi ci sono anche fondazioni con una storia più giovane, corporate, private, familiari, che crescono e si sviluppano in una logica di filantropi­a strategica » . Mondi che, spesso, si trovano trovano a lavorare insieme nell’ otticaa lavorare insieme nell’ottica di una collaboraz­ione che, dalfareret­e, trae input pro attivi per fare la differenza. Eppure resta impattante il problema della burocrazia, che si frappone tra volontà e oneri. « Paradossal­mente, donare a volte diventa un unproblema. problema. Elafilantr­opia non nonpuò può e non deve essere una prerogativ­a esclusiva dell’ imprendito­reesclusiv­a dell’ im prenditore facoltoso facoltoso o dell’azienda multimilio­naria. Deve essere accessibil­e a tutti » . Nodo che, per Corti, potrebbe essere sciolto valorizzan­dolo strumento dell’intermedia­zione filantropi­ca.

« La gente vuole donare ma senza complicazi­oni, far bene le cose ma in modo snello e purtroppo i cavilli burocratic­i rallentano tutto perché crearsi una fondazione non è una passeggiat­a. A livello di investimen­to, di tempo, formazione del team e formazione del team e gesti ogestione », aggiunge .« Per dare il proprio contributo ci si può appoggiare a un intermedia­rio, come F. I. Do, crearsi un un fondo e avere un servizio dif ondafondo e avere un servizio di fondazione out sourc in g ginntempoz eroe a costo zero per l’apertura e con una trattenuta del 2% sulle donazioni per i costi amministra­tivi, decidendo su quale progetto investire e quanto investire. I soldi entrano per uscire nel rispetto della volontà di chi dona » .

Nella check list degli enti filantropi­ci prioritari­a resta la tutela della trasparenz­a, a partire da una comunicazi­one accurata dei bilanci di missione. E la necessità di lavorare in sinergia con le istituzion­i. « Il riconoscim­ento giuridico ha un valore ma ci sono cose da migliorare. Ad esempio, sul tema degli investimen­ti: oggi l’ente filantropi­co è paragonato a una persona privata e sugli investimen­ti paga il 26% di tassazione. Se si abbassasse, invogliere­bbe i donatori a dedicare risorse per investirle, sostenere più progetti e aumentare le masse donative » . E per il futuro? Puntare sui giovani potrebbe essere vincente: « Formare i filantropi del domani, aprendo le governance degli enti filantropi­ci ai ragazzi » , conclude Corti « ed educandoli sul tema, magari inserendo corsi ad hoc negli indirizzi universita­ri » .

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