Nel management servono menti fresche e aperte alla creatività
Intelligenza artificiale/ 1
« Non auditur fluctus, nisi impactus est » ( Seneca). Eppure l’arrivo dell’onda dell’Ai si è sentito, ancora prima del suo effettivo impatto. Un fenomeno innaturale, a suo modo affascinante, se la denominazione artificiale sottintendesse anche il suo pieno controllo da parte degli ideatori. Una presenza prorompente e invasiva, la cui velocità di diffusione nelle aziende è principalmente condizionata dalla capacità delle organizzazioni di modellarsi attorno a innovativi modelli di funzionamento. La potenza delle nuove tecnologie è tale da abbattere ogni inutile sacca di resistenza al cambiamento, come quelle spesso sperimentate dalle aziende nella diffusione dei processi di digitalizzazione. Vessillo dietro al quale si sono lanciati negli anni innumerevoli progetti di trasformazione, che non sempre sono riusciti ad incidere sino in fondo nei sistemi e nelle organizzazioni aziendali.
Ma ora il contesto sta cambiando velocemente e nel teatro di scena della vita aziendale, la recita della trasformazione lascia il palco a quella della mutazione. Opera decisamente più impegnativa, che richiede attori all’altezza dei nuovi ruoli. Non ancora ben definiti, ma sicuramente di maggiore complessità rispetto a quanto sino ad ora vissuto nelle società. E questo non solo per riuscire a navigare in un contesto geopolitico ad alto livello di instabilità, ma anche per gestire le tematiche relazionali interne tra azienda e dipendenti, che dal post pandemia non hanno ancora trovato il loro punto di equilibrio. Tematica ciclicamente condizionata dagli andamenti economici che spostano l’ago della bilancia nei rapporti di forza.
Così come la crisi del 2008 che, interrompendo bruscamente anni di buona sintonia, conferì alle aziende un incontestabile potere autoritario nel ridurre gli organici, plafonare le retribuzioni, rallentare le carriere. Seguì poi un decennio di amorfa apatia economica, causa di sommerse frustrazioni, portate poi a galla dalla pandemia. Liberati dal green pass, gettata la maschera dell’ipocrisia, a migliaia abbandonano le proprie società alla ricerca di un non ancora ben definito benessere.
Colte impreparate, le aziende dismettono i panni dell’autoritarismo e sfoderano doti di seduzione per trattenere i migliori e per accogliere valenti fuggitivi con spremute di purpose, grappoli di benefit, girotondi inclusivi, feste di integrazione. Il tutto orchestrato da manager gentili e accoglienti. Repentino cambio nello stile di gestione delle persone, finalizzato a dare risposte concrete alle emergenti richieste e a trovare un punto di equilibrio, la cui sostenibilità viene ora messa alla prova dall’impattante onda dell’Ai. Opportunità per agili surfisti, minaccia per attardati bagnanti. E ora per i manager si prospetta una sfida epocale nell’affrontare la duplice occasione di razionalizzare le attività operative e di sviluppare le iniziative a maggior valore aggiunto e più innovative.
Tempo di scelte coraggiose per individuare gli esodabili, formare i recuperabili, acquisire le competenze mancanti, valorizzare le risorse più promettenti a cui affidare la responsabilità dei progetti di crescita. Tutto ciò richiede da una parte doti di « autoritarismo » per guidare le manovre di alleggerimento organizzativo e dall’altra di « seduzione » per attrarre e motivare le risorse con maggiore potenziale di crescita.
Ed è così che ora sulla scena della vita aziendale si presentano due copioni opposti, con ruoli tra di loro molto diversi. Missione non facile, l’individuazione degli attori giusti. Soprattutto per quanto riguarda le capacità di saper interpretare e sfruttare le opportunità offerte dalla Ai generativa. E per non cadere in una fase di pericoloso attendismo, le aziende dovrebbero da subito cogliere l’occasione di effettuare quel passaggio generazionale sempre annunciato e mai di fatto compiuto, affidando ai manager più navigati le operazioni di ristrutturazione e ai giovani la responsabilità di captare tutte le occasioni di sviluppo e di innovazione offerte dalle nuove tecnologie, che richiedono menti fresche e non condizionate dal passato. Non si tratta più di processi di cambiamento o di trasformazione, ma di vera mutazione nel modo di lavorare e di saper usare la creatività. « La creatività è contagiosa. Trasmettila » ( Einstein).