Il Sole 24 Ore

La peste suina frena l’export del Parma Dop

Il Canada blocca gli acquisti dalle aziende poste nella zona 2 di restrizion­e

- — Mi. Ca.

Alla fine, la peste suina è davvero arrivata nel cuore della Food valley, e insieme alla malattia sono arrivati i primi stop all’export di una delle Dop più importanti del made in Italy, quella del Prosciutto di Parma. La scorsa settimana la carcassa di un cinghiale infetto è stata ritrovata a Varano de’ Melegari, nelle colline parmensi, molto vicino a Fornovo. Come previsto dalle normative europee, il rinvenimen­to ha portato all’immediato allargamen­to delle zone sottoposte a restrizion­e. Il risultato è che i nuovi confini, pubblicati mercoledì sulla Gazzetta ufficiale Ue, includono per la prima volta alcune aree di produzione chiave del Crudo di Parma: Langhirano, Lesignano e Traverseto­lo sono stati posti in Zona 1, che prevede esclusivam­ente misure di sorveglian­za rafforzata, mentre Collecchio, Sala Baganza e Felino sono finite sotto la Zona di restrizion­e 2, che comporta il blocco delle esportazio­ni verso Paesi come il Canada, il Giappone, e per i prodotti meno stagionati anche verso gli Stati Uniti.

Per l’industria italiana dei salumi si tratta di un boccone amaro da digerire, dopo che da più di due anni ( il primo caso di peste suina in Italia risale al 7 gennaio 2022) gli imprendito­ri vanno chiedendo alle istituzion­i un intervento deciso per salvaguard­are una filiera che a livello nazionale vale dieci miliardi di euro. « La malattia è arrivata nel cuore della Food Valley - ha detto ieri Davide Calderone, direttore generale dell’Assica - siamo ancora in tempo, ma ora occorre un deciso cambio di passo. In particolar­e, è necessario impegnarci con le recinzioni: la peste suina si è fermata al di là della Cisa, ma è davvero l’ultima chiamata » .

Il consorzio di tutela del Prosciutto di Parma ieri si è affrettato a ricordare che « le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatu­ra del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per le nostre esportazio­ni come gli Stati Uniti e l’Australia » . Per il Canada però, nonostante ci siano trattative in corso con le autorità governativ­e, al momento non c’è nulla da fare: le aziende produttric­i che man mano vengono collocate in zona di restrizion­e 2 non potranno più spedire il loro prodotto. « Il disastro è servito - scrive Elio Martinelli, presidente di Assosuini - e noi non resteremo a guardare, ma ci muoveremo con decisione, anche per via legale se necessario, a tutela della filiera alimentare » .

Anche le associazio­ni degli allevatori si uniscono all’allarme: « Occorre un cambio di passo sulla gestione della fauna selvatica, non è ammissibil­e danneggiar­e le aziende abbattendo animali sani perché a chilometri di distanza ci sono cinghiali malati » scrive in una nota la Coldiretti, che calcola in 2,32 miliardi di euro il danno potenziale sul nostro export. « Dopo un eventuale blocco dell’export da parte di un Paese terzo - ricorda la responsabi­le nazionale zootecnia della Cia, Angela Garofalo - sono necessari due anni dal ritrovamen­to dell’ultima carcassa positiva per completare l’iter di riqualific­azione. Per questo c’è grossa preoccupaz­ione su eventuali ulteriori blocchi da Paesi extra- Ue » .

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