Restituzione possibile non oltre i cinque anni dall’avvenuto pagamento
Per i contenziosi in corso il giudice potrà annullare gli avvisi di accertamento
La sentenza 60/ 2024 della Corte costituzionale apre la strada alle istanze di rimborso dei contribuenti che si trovano nella situazione descritta nella pronuncia di illegittimità. A questo riguardo, si ricorda che per costante orientamento dei giudici di vertice, la sentenza di incostituzionalità, in linea di principio, non riapre i termini per la proposizione delle domande di restituzione. Per verificare il diritto del contribuente occorre che non siano decorsi cinque anni dalla data del pagamento.
Se però è in corso un contenzioso, la situazione cambia. Si pensi, ad esempio, a un soggetto che non abbia versato l’Imu nel 2013 sugli immobili occupati abusivamente e che abbia ricevuto, nel 2017, un avviso di accertamento per omesso pagamento. Se l’avviso è stato impugnato e a tutt’oggi pende contenzioso, la sentenza della Consulta produrrà i suoi effetti, con la conseguenza che l’avviso di accertamento sarà annullato dal giudice.
Al contrario, non possono fruire dei benefici della pronuncia i rapporti esauriti. A parte l’avvenuto decorso dei cinque anni dal pagamento, si tratta dei casi in cui l’avviso di accertamento del comune si sia reso definitivo per mancata impugnazione o con sentenza passata in giudicato.
Inoltre, una volta presentata l’istanza di rimborso, il comune ha 180 giorni per provvedervi ( articolo 1, comma 164, legge 296/ 2006). Decorsi 90 giorni senza alcuna risposta, inoltre, il contribuente può proporre ricorso avverso il silenzio rifiuto, fino a che il diritto non si prescrive ( cin
anni). Se invece il comune dovesse notificare il diniego di rimborso, il ricorso va proposto entro 60 giorni da tale notifica. Se il regolamento comunale lo prevede, il rimborso potrebbe anche essere eseguito anche con compensazione con l’imposta a debito per l’annualità in corso.
Da un punto di vista più generale, si potrebbe rilevare che la Consulta non abbia inteso intervenire con affermazioni in grado di incidere direttamente sul presupposto dell’imposta. In un passo della sentenza, si legge ad esempio che le conclusioni raggiunte prescindono dalla definizione della nozione di « possesso » che è alla base della fattispecie imponibile. Purtuttavia, nella parte dispositiva della pronuncia, si giustifica la declaratoria di illegittimità con la circostanza che si è in presenza di immobili « non utilizzabili né disponibili » , in quanto tali, inidonei a manifestare un valido indice di capacità contributiva. Sempre nel testo della sentenza, si stigmatizza l’applicazione del tributo su di un proprietario « spogliato del possesso » .
Non è escluso quindi che le argomentazioni adottate dalla Corte possano aiutare a disegnare meglio il presupposto dell’Imu, che non può essere costituito dalla mera titolarità formale dell’immobile.
Ciò comporta che la stessa questione di illegittimità potrebbe riproporsi con riferimento ad altre casistiche. Si pensi agli immobili occupati d’urgenza in pendenza di procedimento di esproprio. Anche in questa situazione, infatti, il proprietario non ha alcun potere di disposizione sull’immobile ma deve ugualmente pagare l’Imu sino a che il procedimento di esproprio non si conclude ( Cassazione, n. 17813/ 2017). È pur vero che il proprietario ha diritto a un’indennità di occupazione, ma, premesso che in linea teorica anche l’immobile occupato abusivamente dà diritto ad un indennizzo, per un tributo a carattere patrimoniale l’indennità di occupazione non dovrebbe poter giustificare l’applicazione del prelievo.