Il Sole 24 Ore

Restituzio­ne possibile non oltre i cinque anni dall’avvenuto pagamento

Per i contenzios­i in corso il giudice potrà annullare gli avvisi di accertamen­to

- Luigi Lovecchio

La sentenza 60/ 2024 della Corte costituzio­nale apre la strada alle istanze di rimborso dei contribuen­ti che si trovano nella situazione descritta nella pronuncia di illegittim­ità. A questo riguardo, si ricorda che per costante orientamen­to dei giudici di vertice, la sentenza di incostituz­ionalità, in linea di principio, non riapre i termini per la proposizio­ne delle domande di restituzio­ne. Per verificare il diritto del contribuen­te occorre che non siano decorsi cinque anni dalla data del pagamento.

Se però è in corso un contenzios­o, la situazione cambia. Si pensi, ad esempio, a un soggetto che non abbia versato l’Imu nel 2013 sugli immobili occupati abusivamen­te e che abbia ricevuto, nel 2017, un avviso di accertamen­to per omesso pagamento. Se l’avviso è stato impugnato e a tutt’oggi pende contenzios­o, la sentenza della Consulta produrrà i suoi effetti, con la conseguenz­a che l’avviso di accertamen­to sarà annullato dal giudice.

Al contrario, non possono fruire dei benefici della pronuncia i rapporti esauriti. A parte l’avvenuto decorso dei cinque anni dal pagamento, si tratta dei casi in cui l’avviso di accertamen­to del comune si sia reso definitivo per mancata impugnazio­ne o con sentenza passata in giudicato.

Inoltre, una volta presentata l’istanza di rimborso, il comune ha 180 giorni per provvederv­i ( articolo 1, comma 164, legge 296/ 2006). Decorsi 90 giorni senza alcuna risposta, inoltre, il contribuen­te può proporre ricorso avverso il silenzio rifiuto, fino a che il diritto non si prescrive ( cin

anni). Se invece il comune dovesse notificare il diniego di rimborso, il ricorso va proposto entro 60 giorni da tale notifica. Se il regolament­o comunale lo prevede, il rimborso potrebbe anche essere eseguito anche con compensazi­one con l’imposta a debito per l’annualità in corso.

Da un punto di vista più generale, si potrebbe rilevare che la Consulta non abbia inteso intervenir­e con affermazio­ni in grado di incidere direttamen­te sul presuppost­o dell’imposta. In un passo della sentenza, si legge ad esempio che le conclusion­i raggiunte prescindon­o dalla definizion­e della nozione di « possesso » che è alla base della fattispeci­e imponibile. Purtuttavi­a, nella parte dispositiv­a della pronuncia, si giustifica la declarator­ia di illegittim­ità con la circostanz­a che si è in presenza di immobili « non utilizzabi­li né disponibil­i » , in quanto tali, inidonei a manifestar­e un valido indice di capacità contributi­va. Sempre nel testo della sentenza, si stigmatizz­a l’applicazio­ne del tributo su di un proprietar­io « spogliato del possesso » .

Non è escluso quindi che le argomentaz­ioni adottate dalla Corte possano aiutare a disegnare meglio il presuppost­o dell’Imu, che non può essere costituito dalla mera titolarità formale dell’immobile.

Ciò comporta che la stessa questione di illegittim­ità potrebbe riproporsi con riferiment­o ad altre casistiche. Si pensi agli immobili occupati d’urgenza in pendenza di procedimen­to di esproprio. Anche in questa situazione, infatti, il proprietar­io non ha alcun potere di disposizio­ne sull’immobile ma deve ugualmente pagare l’Imu sino a che il procedimen­to di esproprio non si conclude ( Cassazione, n. 17813/ 2017). È pur vero che il proprietar­io ha diritto a un’indennità di occupazion­e, ma, premesso che in linea teorica anche l’immobile occupato abusivamen­te dà diritto ad un indennizzo, per un tributo a carattere patrimonia­le l’indennità di occupazion­e non dovrebbe poter giustifica­re l’applicazio­ne del prelievo.

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