Il Sole 24 Ore

LA SCELTA FELICE DI PUNTARE SUI CORPI INTERMEDI

- di diMichel Michel Martone Ordinario di diritto del Lavoro e relazioni industrial­i, Sapienza Università di Roma

Nel 1994, in una situazione di crescente difficoltà finanziari­a, il Governo, con il Dlgs 509, avviava un complesso processo di privatizza­zione delle casse previdenzi­ali per concedere ad alcune categorie di liberi profession­isti, tra cui i dottori commercial­isti, la libertà di organizzar­si in Casse previdenzi­ali per assicurare un futuro previdenzi­ale agli iscritti, a patto che queste non gravassero più sul bilancio pubblico.

In altri termini, alla maggiore autonomia delle casse doveva corrispond­ere una loro maggiore responsabi­lità, tanto più che già all’epoca cominciava­no a intraveder­si i primi segnali dell’inverno demografic­o che oggi minaccia il futuro previdenzi­ale di tutti noi.

Una sfida difficile che per essere vinta richiedeva di valorizzar­e al meglio il combinato disposto degli articoli 2 e 38 della Costituzio­ne, perché per avere successo postulava l’affidament­o a corpi intermedi, dalla natura squisitame­nte privatisti­ca, di una funzione di carattere eminenteme­nte pubblicist­ico come quella di assicurare il futuro previdenzi­ale di un’intera categoria.

Da allora molta acqua è passata sotto ai ponti e, 30 anni anni di distanza, è possibile trarre un primo bilancio di questo rilevante esperiment­o di interazion­e tra pubblico e privato, ad esempio prendendo a riferiment­o i risultati di gestione della Cassa dei dottori commercial­isti.

Basti al riguardo osservare che la Cassa dei dottori commercial­isti, se nel 1993 era in grado di assicurare, senza il sostegno del bilancio statale, la sostenibil­ità previdenzi­ale solo per i successivi 15 anni, nel tempo, nonostante il crollo delle nascite grazie ad alcune lungimiran­ti scelte ( tra cui l’applicazio­ne di un contributo di solidariet­à sugli scaglioni di quote di pensione calcolate con il metodo retributiv­o nonché il riconoscim­ento sui montanti contributi­vi individual­i di una quota parte della contribuzi­one integrativ­a versata dal singolo iscritto), è oggi in grado di assicurare la sicurezza di una prestazion­e previdenzi­ale per i prossimi 50 anni.

Si tratta di un risultato importante, oltre che rassicuran­te, soprattutt­o in un Paese che vanta il terzo debito pubblico del mondo e che proprio per tale motivo ha continuato a mostrarsi restio a riconoscer­e alle Casse l’autonomia di cui parlava il Dlgs 509 del 1994.

Basti considerar­e che nel corso degli anni l’attività delle Casse previdenzi­ali da un lato è stata sottoposta a nuovi vincoli – dall’imposizion­e della spending review all’inclusione nell’elenco delle Pubbliche amministra­zioni tenuto dall’Istat, sino all’intensific­azione dei controlli da parte del ministero del Lavoro, della Corte dei conti, dell’Anac e dell’AgID – e dall’altro ha dovuto resistere alla crescente contestazi­one delle scelte compiute per rafforzare la sostenibil­ità di lungo periodo dei propri bilanci. Ci si riferisce in particolar­e agli interventi legislativ­i volti ad estendere anche alle Casse previdenzi­ali l’applicazio­ne delle procedure di definizion­e agevolata dei debiti contributi­vi ( rottamazio­ne, saldo e stralcio, microcredi­to) nonché alle resistenze, incontrate principalm­ente in sede giurisdizi­onale, in ordine alla legittimit­à del principio del pro rata e del contributo di solidariet­à.

Se non che, nonostante queste resistenze, i bilanci presentati oggi dimostrano che quantomeno la Cassa dei dottori commercial­isti ha fatto buon uso della propria autonomia dimostrand­o che la funzione previdenzi­ale può essere assolta anche dai corpi intermedi e non solo dallo Stato, proprio come avevano immaginato i Costituent­i.

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del lavoro all’università di Roma La Sapienza
MICHEL MARTONE Ordinario di diritto del lavoro all’università di Roma La Sapienza

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