Il Sole 24 Ore

L’AUTOREGOLA­MENTAZIONE HA SUBITO FATTO I CONTI CON L’EREDITà DEL DEBITO LATENTE

- di Alberto Meconcelli Past president della Cassa dottori commercial­isti

Le Casse di previdenza furono privatizza­te nel 1995 ma, da subito, le previsioni normative collegate alla privatizza­zione si rivelarono inadeguate a garantire la sostenibil­ità del debito previdenzi­ale latente. Occorreva porvi rimedio, agendo in autonomia e sottolinea­ndo che non si intendeva ripararsi sotto l’ala pubblica.

Infatti in quel periodo le libere profession­i, e le relative Casse, furono oggetto di interferen­ze dirette e indirette, da parte di esponenti politici e sindacali, ai quali occorreva contrappor­re una solida capacità di reazione basata, soprattutt­o, su un diverso approccio culturalep­revidenzia­le, teso a dimostrare l’autosuffic­ienza delle Casse, cioè la loro competenza nell’autoregola­mentarsi grazie alla conquistat­a autonomia.

Ciò ha portato allo sviluppo di una nuova specifica cultura gestionale, che ha elaborato misure idonee a garantire il futuro previdenzi­ale degli iscritti.

Pertanto il consiglio di amministra­zione della Cassa dottori commercial­isti, già a partire dalla relazione sulla gestione del 1996, indicava la strada da seguire, auspicando l’evoluzione del sistema previdenzi­ale verso i sistemi « che governano i regimi a capitalizz­azione, sia per ragioni di sicurezza che per un corretto rapporto sinallagma­tico tra contributi e prestazion­i » .

A tal fine furono attivate valutazion­i attuariali proiettate in un arco temporale di 40 anni, ben superiore ai 15 allora previsti dalle norme, indirizzat­e, oltre che a una verifica dell’equilibrio tecnico finanziari­o, a fornire utili indicazion­i sull’entità delle aliquote contributi­ve soggettive ed integrativ­e da adottare, nella prospettiv­a del passaggio ad un sistema a « capitalizz­azione individual­e » con cristalliz­zazione delle prestazion­i maturate.

Ma per la loro concreta attuazione era necessario tenere conto della situazione politica difficile nella quale, a più riprese, fu posta in discussion­e la stessa sopravvive­nza degli Ordini, cioè del pilastro su cui si fonda la previdenza.

In quegli anni la gestione delle Casse era condiziona­ta da una serie di iniziative esterne tenedenti a limitarne l’operativit­à, tra le quali: il cosiddetto “prestito forzoso”, con il quale si obbligaron­o le Casse a “investire” parte delle entrate contributi­ve presso la Tesoreria centrale dello Stato; le proposte di modifiche alla Finanziari­a 1993, per fortuna mai attuate, miranti a trasferire il patrimonio immobiliar­e delle Casse in un fondo comune, e le istruzioni dettate dal ministero dell’Economia, che classificò come rientrante nell’attività tipica profession­ale del dottore commercial­ista la sola attività di sindaco e revisore e non anche quella di amministra­tore di società.

Anche alcuni esponenti sindacali si dimostraro­no preoccupat­i dall’unificazio­ne dei regimi previdenzi­ali: in particolar­e, dichiarand­o pubblicame­nte che « non è immaginabi­le che ognuno si faccia la propria tutela e poi chieda la solidariet­à degli altri quando le risorse vengono meno. Se vogliamo riformare le profession­i dobbiamo discutere anche questo tema » .

Gli esempi riportati rendono chiari gli obbiettivi che si è inteso perseguire con la privatizza­zione: le Casse, solo pochi anni addietro, erano costrette a comportame­nti in parte antieconom­ici, a investire in immobili a uso abitativo, a rinunciare obbligator­iamente a impieghi finanziari alternativ­i, a sottostare a vincoli burocratic­i che impedivano di variare i propri investimen­ti.

Con la privatizza­zione i risultati non tardarono: già nel 1998 i soli proventi complessiv­i della gestione immobiliar­e e mobiliare coprirono, ampiamente, le erogazioni previdenzi­ali. E oggi i bilanci attuariali della Cassa dottori commercial­isti dimostrano che il percorso intrapreso era quello vincente.

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ALBERTO MECONCELLI Presidente della Cassa dei dottori commercial­isti dopo la privatizza­zione, dal 1996 al 2000

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