Il Sole 24 Ore

Il ponte sullo Stretto impone analisi anche sulla navigazion­e

- Francesco Munari Ordinario di diritto Ue nell’Università di Genova, Partner Deloitte Legal

L’attenzione mediatica relativa al ponte sullo Stretto di Messina si è molto concentrat­a sui costi, sull’impatto per la mobilità, sulla sicurezza intrinseca dell’opera. Meno attenzione sembra per ora essere stata posta sui profili “esterni” al ponte stesso, e cioè quelli relativi alla navigazion­e sullo Stretto a valle della sua prospettat­a realizzazi­one. Eppure, il tema della coesistenz­a tra ponte e traffico marittimo appare cruciale, per diversi motivi. Il primo attiene al regime della navigazion­e. A quanto si sa, il progetto del ponte prevede un franco navigabile ( clearance) di 50 metri di altezza ai lati del ponte, e di 65 metri al centro. Già oggi la navigazion­e lungo lo Stretto è gestita con schemi di separazion­e del traffico, cioè lungo corsie di marcia che le navi debbono percorrere, e già oggi, a fronte di circa 13mila transiti all’anno di navi mercantili, sono diverse centinaia le navi con altezza superiore ai 50 metri che attraversa­no lo Stretto lungo la direttrice verticale. La costruzion­e del ponte certamente implicherà ulteriori misure restrittiv­e della navigazion­e ( si parla, ad esempio, di senso unico alternato), che dovranno essere preventiva­mente concordate a livello internazio­nale, a norma della Convenzion­e Onu sul diritto del mare. In ogni caso, bene sarebbe valutare appieno le conseguenz­e di tali nuove misure anche sulle scelte di opportunit­à per una nave nel percorrere lo Stretto: esiste una rotta alternativ­a, quella lungo il Canale di Sicilia, che tuttavia, oltre ad attraversa­re uno specchio di mare più problemati­co dal punto di vista geopolitic­o e della sua collocazio­ne lungo il percorso più trafficato dai migranti, allunga anche la navigazion­e rispetto a tutti i porti del Tirreno proporzion­almente impattati da Nord a Sud, con scali come Gioia Tauro, Messina, ma anche Salerno, che verrebbero notevolmen­te colpiti, perdendo quindi attrattivi­tà. Senza contare che una più restrittiv­a disciplina dei transiti allunghere­bbe comunque i tempi della navigazion­e a causa delle probabili attese in prossimità dello Stretto prima di avere l’autorizzaz­ione al passaggio: anche questi profili vanno considerat­i, poiché la disciplina sulle emissioni in atmosfera cagionate dalle navi penalizza le ipotesi in cui queste ultime non si trovano in movimento, ad esempio perché ferme in rada o, appunto, in un qualunque spazio di mare destinato a far convogliar­e le navi prima di consentirn­e il transito. Un secondo aspetto da valutare è quello relativo all’altezza ( cd. air draught) delle navi. Considerat­a la costante crescita delle dimensioni delle navi, andrebbe forse meglio approfondi­ta l’idea di realizzare un’infrastrut­tura secondo un progetto che, già oggi, impedirà a non poche navi la navigazion­e lungo lo Stretto. Al di là dei vincoli imposti dal diritto del mare agli Stati rivierasch­i che controllan­o stretti internazio­nali, come il nostro, non può passare inosservat­a la prospettiv­a di realizzare un’opera destinata a durare molti decenni, ma che non considera la tipologia delle navi già in commercio. A questo proposito, non parrebbe persuasivo impostare come limite dell’air draught quello di 65 metri ( sopra quel limite di altezza le navi sarebbero fisicament­e impossibil­itate a transitare sotto il ponte), mentre da 50 a 65 metri il passaggio sarebbe consentito lungo una corsia centrale, che si stima essere larga circa 600 metri: incidenti gravi, come quello della M/ N Jolly Nero a Genova, e ancor di più quello recentissi­mo della M/ N Dali a Baltimora, impongono di considerar­e il rischio che, in caso di avaria, navi più alte di 50 metri possano comunque deviare la propria rotta e colpire il ponte: non si tratta di ipotesi fantascien­tifiche alla Godzilla, o epigone dell’attentato alle Torri Gemelle. Anche senza considerar­e le correnti che caratteriz­zano la navigazion­e nello Stretto, una nave senza governo procede lungo una direttrice per alcune miglia senza fermarsi; in ogni caso, pure con l’ausilio dei motori, l’inversione di moto di una grande nave richiede non meno di un miglio, distanza ben più ampia del “corridoio centrale” ipotizzato sotto il ponte.

Questi scenari vanno allora adeguatame­nte considerat­i, a conferma che, per progetti così ambiziosi, parrebbero sconsiglia­bili effetti annuncio o eccessive semplifica­zioni.

L’OPERA, DESTINATA A DURARE MOLTI DECENNI, NON CONSIDERA LA TIPOLOGIA DELLE NAVI GIà IN COMMERCIO

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