Il ponte sullo Stretto impone analisi anche sulla navigazione
L’attenzione mediatica relativa al ponte sullo Stretto di Messina si è molto concentrata sui costi, sull’impatto per la mobilità, sulla sicurezza intrinseca dell’opera. Meno attenzione sembra per ora essere stata posta sui profili “esterni” al ponte stesso, e cioè quelli relativi alla navigazione sullo Stretto a valle della sua prospettata realizzazione. Eppure, il tema della coesistenza tra ponte e traffico marittimo appare cruciale, per diversi motivi. Il primo attiene al regime della navigazione. A quanto si sa, il progetto del ponte prevede un franco navigabile ( clearance) di 50 metri di altezza ai lati del ponte, e di 65 metri al centro. Già oggi la navigazione lungo lo Stretto è gestita con schemi di separazione del traffico, cioè lungo corsie di marcia che le navi debbono percorrere, e già oggi, a fronte di circa 13mila transiti all’anno di navi mercantili, sono diverse centinaia le navi con altezza superiore ai 50 metri che attraversano lo Stretto lungo la direttrice verticale. La costruzione del ponte certamente implicherà ulteriori misure restrittive della navigazione ( si parla, ad esempio, di senso unico alternato), che dovranno essere preventivamente concordate a livello internazionale, a norma della Convenzione Onu sul diritto del mare. In ogni caso, bene sarebbe valutare appieno le conseguenze di tali nuove misure anche sulle scelte di opportunità per una nave nel percorrere lo Stretto: esiste una rotta alternativa, quella lungo il Canale di Sicilia, che tuttavia, oltre ad attraversare uno specchio di mare più problematico dal punto di vista geopolitico e della sua collocazione lungo il percorso più trafficato dai migranti, allunga anche la navigazione rispetto a tutti i porti del Tirreno proporzionalmente impattati da Nord a Sud, con scali come Gioia Tauro, Messina, ma anche Salerno, che verrebbero notevolmente colpiti, perdendo quindi attrattività. Senza contare che una più restrittiva disciplina dei transiti allungherebbe comunque i tempi della navigazione a causa delle probabili attese in prossimità dello Stretto prima di avere l’autorizzazione al passaggio: anche questi profili vanno considerati, poiché la disciplina sulle emissioni in atmosfera cagionate dalle navi penalizza le ipotesi in cui queste ultime non si trovano in movimento, ad esempio perché ferme in rada o, appunto, in un qualunque spazio di mare destinato a far convogliare le navi prima di consentirne il transito. Un secondo aspetto da valutare è quello relativo all’altezza ( cd. air draught) delle navi. Considerata la costante crescita delle dimensioni delle navi, andrebbe forse meglio approfondita l’idea di realizzare un’infrastruttura secondo un progetto che, già oggi, impedirà a non poche navi la navigazione lungo lo Stretto. Al di là dei vincoli imposti dal diritto del mare agli Stati rivieraschi che controllano stretti internazionali, come il nostro, non può passare inosservata la prospettiva di realizzare un’opera destinata a durare molti decenni, ma che non considera la tipologia delle navi già in commercio. A questo proposito, non parrebbe persuasivo impostare come limite dell’air draught quello di 65 metri ( sopra quel limite di altezza le navi sarebbero fisicamente impossibilitate a transitare sotto il ponte), mentre da 50 a 65 metri il passaggio sarebbe consentito lungo una corsia centrale, che si stima essere larga circa 600 metri: incidenti gravi, come quello della M/ N Jolly Nero a Genova, e ancor di più quello recentissimo della M/ N Dali a Baltimora, impongono di considerare il rischio che, in caso di avaria, navi più alte di 50 metri possano comunque deviare la propria rotta e colpire il ponte: non si tratta di ipotesi fantascientifiche alla Godzilla, o epigone dell’attentato alle Torri Gemelle. Anche senza considerare le correnti che caratterizzano la navigazione nello Stretto, una nave senza governo procede lungo una direttrice per alcune miglia senza fermarsi; in ogni caso, pure con l’ausilio dei motori, l’inversione di moto di una grande nave richiede non meno di un miglio, distanza ben più ampia del “corridoio centrale” ipotizzato sotto il ponte.
Questi scenari vanno allora adeguatamente considerati, a conferma che, per progetti così ambiziosi, parrebbero sconsigliabili effetti annuncio o eccessive semplificazioni.
L’OPERA, DESTINATA A DURARE MOLTI DECENNI, NON CONSIDERA LA TIPOLOGIA DELLE NAVI GIà IN COMMERCIO