Il Sole 24 Ore

L’INCAPACITÀ ISRAELIANA DI RISULTATI POLITICI

- Di Ugo Tramballi

Senza dover necessaria­mente citare von Clausewitz, è evidente che le guerre siano combattute per ragioni politiche. E che combatterl­e non sia solo vincere battaglie ma anche trasformar­e i successi militari in un risultato politico. Nel primo caso, le vittorie militari, Israele ha grande competenza; nel secondo, la soluzione politica, no.

Nel 1956 conquistò il Sinai ma il presidente americano Dwight Eisenhower lo costrinse a un’umiliante ritirata. La guerra dei Sei giorni del ’ 67 fu una vittoria spettacola­re ma 57 anni dopo, l’occupazion­e dei territori palestines­i continua a dilaniare il paese. La guerra del ’ 73 portò alla pace con l’Egitto ma il merito fu dell’egiziano Anwar Sadat, non di Golda Meir né di Menahem Begin: la prima rifiutò una trattativa sulla restituzio­ne del Sinai, causando la guerra; il secondo non lo avrebbe riconsegna­to senza le pressioni di Jimmy Carter.

Nessuna delle numerose guerre in Libano ha garantito la pace alle frontiere settentrio­nali: piuttosto, hanno prodotto nuovi e pericolosi nemici come Hezbollah. Né le molte operazioni su Gaza hanno offerto vie d’uscita politiche, limitandos­i a congelare uno status quo pericoloso. Anche in questo teatro di guerra Israele ha gravi responsabi­lità nella nascita di Hamas. L’ultima guerra, questa in corso, sta isolando lo stato ebraico dal mondo come mai era accaduto: la potenza e la tecnologia della sua inarrestab­ile capacità di fuoco si stanno lasciando alle spalle un disastro materiale e politico dal quale sarà difficile uscire.

Tra poco Israele celebrerà i 76 anni della sua indipenden­za ma, ancora, vive il dilemma se attaccare o no una tendopoli di oltre un milione di morti di fame, a Rafah; se raggiunger­e con Hamas un momentaneo compromess­o su ostaggi e prigionier­i; se accettare una tregua e per quanto. A parte le migliaia di vite in gioco, nel grande affresco di un conflitto quasi secolare senza una soluzione politica, appaiono come questioni contingent­i, palliativi momentanei: prolungano il conflitto, non lo risolvono.

Ancora una volta, ieri sera a Tel Aviv molti israeliani sono scesi in piazza a protestare. I parenti degli ostaggi di Hamas si sono uniti a coloro che già prima della guerra volevano impedire una serie di leggi che avrebbero ridotto la democrazia del paese, volute dal governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu. Il collante era la protesta contro il primo ministro, la richiesta delle sue dimissioni e di nuove elezioni.

Ma la manifestaz­ione si sarebbe spaccata se fosse stata invitata a protestare contro la guerra a Gaza o chiamata a marciare per la soluzione politica del conflitto: lo stato palestines­e che invocano l’amministra­zione Biden, cinesi, russi, europei, arabi buoni e cattivi. Tutto il mondo, tranne Israele.

‘ Il governo non sembra ancora una volta in grado di arrivare a soluzioni durature dopo la vittoria militare

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