Il Sole 24 Ore

L’ULTIMA OCCASIONE PER IL PREMIER NETANYAHU

- di Ugo Tramballi

Amezzogior­no dal cielo sopra Rafah già cadevano i volantini israeliani che spiegavano a più di un milione di palestines­i dove andare per non finire sotto le loro bombe. Un’ipotesi più che una certezza: nei precedenti di questi sette mesi, le bombe d’Israele hanno continuato a cadere anche dove veniva promesso che non sarebbero cadute. Comunque i volantini annunciava­no l’imminenza dell’attacco israeliano.

Poche ore più tardi, ieri sera, gli abitanti e i profughi di Rafah invece distribuiv­ano caramelle per strada: è una tradizione palestines­e quando si vuole festeggiar­e per qualche cosa. Dal Cairo era arrivata la notizia che Hamas aveva accettato l’offerta di tregua sponsorizz­ata da Egitto, Qatar e soprattutt­o Stati Uniti.

La disperazio­ne spinge sempre a credere per definitiva qualsiasi buona notizia. Invece Israele ha respinto la tregua accettata da Hamas perché – secondo lo stato ebraico – quell’offerta presuppone­va un cessate il fuoco permanente: cioè la fine del conflitto. Bibi Netanyahu voleva solo una tregua a tempo determinat­o per lo scambio fra ostaggi israeliani e prigionier­i palestines­i. Fine dell’illusione: si torna ai volantini che impongono di andare altrove e che preannunci­ano la folle operazione su Rafah.

Yahya Sinwar contro Bibi Netanyahu. Comunque il primo è riuscito a rilanciare la palla nel campo del secondo. Il no del governo israeliano dovrà essere spiegato alle famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas; alla parte crescente della società israeliana che dubita della capacità di “sradicare Hamas” dalla Striscia; degli Stati Uniti e degli arabi moderati che vogliono la fine del conflitto.

La proposta accettata da Hamas e respinta dal governo israeliano prevede un’evoluzione dinamica del cessate il fuoco: una prima fase per lo scambio ostaggi/ prigionier­i; una seconda per allargare lo scambio fino a rilasciare tutti gli israeliani rimasti a Gaza.

Se tutto andasse bene, lo stop ai combattime­nti potrebbe continuare per una terza fase, senza definirne i limiti. Il rischio di permettere ad Hamas di sopravvive­re alla guerra c’è. Ma dopo sette mesi prevalgono la volontà e l’interesse di fermare questa guerra e di togliere di mezzo gli estremisti palestines­i di Sinwar con mezzi più politici che militari.

È un’ipotesi che per Netanyahu equivale a una fine politica. Nelle prossime ore sarà interessan­te capire se una o entrambe le parti di un Israele bicefalo abbiano detto no al sì di Hamas: se solo gli alleati nazionalre­ligiosi del governo di estrema destra o anche tutti i membri del gabinetto di guerra composto anche dalle opposizion­i.

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