Il Sole 24 Ore

Jobs Act, dal referendum impatto nullo sul mercato

Dal 2015 aumentati gli occupati e, in particolar­e, i contratti stabili

- Claudio Tucci

A quasi 10 anni di distanza e, con un mercato del lavoro diverso, e in trasformaz­ione, è un referendum della Cgil, appoggiato da una parte del Pd e del M5S, a rimettere in discussion­e l’ultima riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, realizzata dall’allora governo Renzi.

Per i promotori dei quesiti referendar­i, quella riforma, con l’introduzio­ne, per gli assunti post 7 marzo 20215, in caso di licenziame­nti illegittim­i, delle tutele monetarie crescenti, sostitutiv­e della tutela reintegrat­oria, avrebbe aumentato la precarietà. Non ci sono tuttavia dati ufficiali che confermano questa posizione; anzi le rilevazion­i Inps e Istat dicono il contrario. Secondo le serie storiche dell’Istat, a marzo 2015 il numero di occupati in Italia era di 22.014.000, a marzo 2024 siamo saliti a 23.849.000. Gli occupati permanenti, vale a dire gli assunti a tempo indetermin­ato, nello stesso periodo considerat­o, sono passati da 14.316.000 a quasi 16 milioni ( 15.966.000 per l’esattezza). L’occupazion­e a termine, a marzo 2024, è a quota 2.828.000, senza particolar­i boom, e in linea con le

Senza Jobs Act non tornerebbe l’articolo 18, ma la legge del 2012, meno favorevole sugli indennizzi

medie internazio­nali. Anche il numero di licenziame­nti, come emerge dalle statistich­e Inps, non è affatto aumentato; anzi si è ridotto di molto il contenzios­o, uno dei freni principali agli investimen­ti ( legato all’incertezza giuridica).

Anche dal punto di vista squisitame­nte tecnico, i quesiti referendar­i della Cgil, se ammessi al voto e poi effettivam­ente approvati, non produrrebb­ero effetti significat­ivi. « Praticamen­te nulli » , sottolinea­no i giuslavori­sti. Intanto perché, dopo le modifiche del 2018, operate dalle sentenze della Corte costituzio­nale, il Jobs act non è più lo stesso, è stato modificato, riducendon­e la portata.

Eppoi, se pure fosse cancellato, come chiede chi propone il referendum, non si tornerebbe l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. « Si tornerebbe alla legge Monti- Fornero del 2012 - spiega Maurizio Del Conte, professore di diritto del Lavoro all’università Bocconi di Milano -, che aveva già scalfito la tutela reintegrat­oria, moltiplica­ndo le fattispeci­e di licenziame­nto e diversific­ando le sanzioni, creando però solo incertezze e contenzios­o. Per i vecchi assunti, prima del 7 marzo 2015, è comunque questa la normativa di riferiment­o in materia di licenziame­nto, che è addirittur­a meno favorevole in caso di indennizzi rispetto al Jobs act. Peraltro, le sentenze della Corte costituzio­nale hanno respinto i rilievi di incostituz­ionalità sul passaggio dalla reintegra alle sanzioni monetarie crescenti » .

Insomma, si rischia di tornare a dispute tra Guelfi e Ghibellli, e a una stagione di polemiche che non aiutano a risolvere gli attuali problemi di imprese e lavoratori. Parliamo certo di precarietà, di salari, di mismatch, di rivoluzion­i tecnologic­he e green, di chi è ai margini. Tutti temi serissimi su cui il ritorno o meno dell’articolo 18 rischia solo di distoglier­e l’attenzione.

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