Nello sport mancano ancora le tutele per le mamme atlete
Alle prossime Olimpiadi di Parigi la percentuale di donne in gara sarà pari a quella degli uomini Si inizia a pensare a servizi dedicati alle madri, ma le federazioni sportive si muovono troppo lentamente
Parità di genere e servizi per le atlete mamme. Le Olimpiadi di Parigi 2024 rappresentano una tappa fondamentale nell’evoluzione della cultura sportiva. Quest’estate per la prima volta parteciperanno alle competizioni un numero pari di donne e uomini e per la prima volta, inoltre, le sportive- mamme avranno a disposizione stanze per l’allattamento. Una decisione non scontata, visto che per molte atlete la maternità resta una possibilità da valutare solo dopo il ritiro.
Spesso prive di tutele specifiche o di supporti economici, quando annunciano una gravidanza, le sportive devono affrontare pregiudizi e difficoltà e non di rado rischiano di vedersi rescindere i contratti da parte di società sportive e sponsor. Qualcosa sta cambiando negli ultimi anni, ma ancora troppo lentamente, anche grazie a un attivismo sempre più corale anche di professioniste di fama internazionale come Serena Williams, Naomi Osaka, Allyson Felix e Alysia Montaño. Atlete che all’apice della loro carriera hanno deciso di prestare la loro voce e la loro visibilità alla causa.
Alcuni risultati sono già stati raggiunti, ma il panorama delle diverse discipline ha un’evoluzione a macchia di leopardo a seconda delle sensibilità delle singole federazioni. La crescita del calcio femminile a livello internazionale, ad esempio, ha portato la Fifa ad offrire dal 2021 alle professioniste un pacchetto considerato tra i più generosi in ambito sportivo: 14 settimane di congedo di maternità retibuite con i due terzi del salario; proibito il licenziamento motivato dalla gravidanza e permesso l’allattamento al rientro. L’introduzione di questo piano è stata stimolata proprio dall’esplosione dell’interesse per il calcio femminile degli ultimi anni, culminata coi numeri del mondiale in Australia e Nuova Zelanda 2023: record di biglietti venduti ( oltre il milione e 700 mila), di presenza media di tifosi negli stadi ( oltre 31mila) e di audience per una singola partita ( 53,9 milioni di spettatori in Cina).
Le tutele, per quanto “ricche”, sono però valide solo con un contratto in essere. E data la minore frequenza con cui le calciatrici, al contrario dei calciatori, firmano accordi pluriennali, la soluzione rischia di non essere particolarmente estesa. Secondo le intenzioni della Fifa le giocatrici non dovrebbero più scegliere tra la professione e la costruzione di una famiglia, ma nei fatti il cambiamento culturale è lento. Un rapporto Fifpro ( l’associazione che tutela calciatrici e calciatori), qualche anno fa registrava che il 47% delle interpellate avrebbe atteso il ritiro per diventare madre proprio a causa della mancanza di supporti. Intanto in Italia le calciatrici sono diventate professioniste dalla stagione 2022/ 2023 e sono aumentate le tutele e i diritti anche da noi.
All’esempio del calcio si affianca, seppur su scala nazionale, quello del rugby inglese. Dal 2023 la RFU ( Rugby Football Union) offre alle sue professioniste 26 settimane di congedo pagate al 100%. La prima a usufruirne è stata la giocatrice dei Bristol Bears e delle Red Roses ( la squadra nazionale - tra le più titolate al mondo) Abbie Ward che, inoltre, ha raccontato in un documentario appena uscito la sua esperienza dai primi mesi di gravidanza alle selezioni per guadagnarsi il posto in campionato e in nazionale dopo il parto.
Innovazioni arrivano, oltre oceano, dall’atletica e dal basket statunitensi. A fine aprile nel Paese, uno dei pochissimi nelle Nazioni Unite privo di un congedo ( sportivo e non) obbligatorio retribuito, la federazione di atletica leggera, UsaTf, ha annunciato l’estensione del suo programma di protezione: garantirà alle sportive d’eccellenza ( sei per questa stagione) più tempo per tornare alle gare dopo la maternità, intervenendo oltre la copertura assicurativa già prevista e della durata di un anno.
Le cestiste della Wnba, invece, grazie alla ratifica nel 2020 dell’accordo collettivo, ricevono un salario intero durante il congedo, la cui durata, però, deve essere negoziata da ciascuna atleta. Per un ristretto numero di veterane e giocatrici d’élite, il piano prevede anche rimborsi per adozione, maternità surrogata o trattamenti per la fertilità.
In Italia, dove solo due federazioni riconoscono il professionismo femminile ( golf e calcio), nella maggior parte delle discipline le sportive non hanno un rapporto di lavoro riconosciuto e regolato per legge. Se diventano madri, quindi, non rientrano nelle coperture garantite. Da alcuni anni esiste un contributo di 1000 euro al mese, assegnato dal Dipartimento dello Sport della Presidenza del Consiglio « per assicurare il principio delle pari opportunità nel settore sportivo e garantire il diritto di conciliare la carriera sportiva con il ruolo di madre » . Stanziamento riconfermato per il 2024 e incrementato a 2 milioni di euro, il “bonus” spetta alle atlete non professioniste che svolgono un’attività agonistica riconosciuta o hanno partecipato a competizioni di rilievo nazionale o internazionale. Per accedere al contributo, però, non devono avere redditi superiori ai 15mila euro annui, né lavori che garantiscano tutele di maternità. Insomma, non esattamente « per tutte » . Tra quelle che ottengono questo sostegno, le pallavoliste di Serie A e B in gravidanza o neo- mamme possono ricevere qualcosa in più: la Fipav offre un’integrazione, riconfermata in marzo, di 500 euro mensili per un anno.
Dal 2021 la Fifa ha introdotto un pacchetto di garanzie per le calciatrici in caso di gravidanza