Il Sole 24 Ore

L’ambiente diventa personaggi­o e l’umanità ha un valore sacro

- Mauro Garofalo

L’Islanda delle rocce, nubi, acqua, una macchina gialla percorre le strade che portano al prossimo orizzonte. C’è tutto questo e molto di più nell’opera di Jón Kalman Stefánsson - nato a Reykjavík nel 1963, Premio Islandese per la Letteratur­a - che sarà oggi ospite al Salone Internazio­nale del Libro di Torino con il suo ultimo romanzo, « Il mio sottomarin­o giallo » ( Iperborea, € 20, trad. it. Silvia Cosimini).

La voce narrante è un io- bambino della stessa età del piccolo protagonis­ta di « Crepitio di stelle » ( Iperborea): « Questi bambini hanno molte cose in comune con lo stesso autore, io, che ha scritto i libri. Ma “Crepitio di stelle” risale a più di 20 anni fa, molte cose sono cambiate da allora, sia nel mondo che nella mia vita. Per questo i libri sono simili e, allo stesso tempo, diversi » .

Gli immaginari di Stefánsson ricercano ciò che si è stati, quel che siamo diventati: « Sto cercando di mescolarli: tutto ciò che ho imparato, letto, sperimenta­to nei miei 60 anni, la conoscenza, l’esperienza, tutti i tipi di dolore, i rimpianti, le nostalgie, gli errori, la felicità, la Bibbia, la scienza. Poi il regno dell’infanzia: la poesia, l’illogicità, l’avventura, le possibilit­à senza confini e l’innocenza » . Quando questi mondi s’incontrano « si ottiene il sottomarin­o giallo » , del titolo. Una storia ricca d’immagini e personaggi - Paul McCartney e Proust, l’Apollo 13 e la madre - ancora una volta Stefánsson scrive d’un tempo spinoziano, tutto è collegato: « Il tempo è un aereo, cantava Bob Dylan, a volte ci attraversa in fretta; basta un battito di ciglia e sono passati 10 anni, a volte sembra fermarsi, e un giorno vale mille anni; mille anni un giorno » . E ancora: « Il tempo porta la vita ma ogni volta che ti attraversa muori un po’ » , è come « se ti avvicini a un buco nero, il tempo sembra rallentare un po’, poi molto, alla fine quasi si ferma; le forze del buco nero lo piegano; e diventa silenzioso. Forse è impossibil­e capire il tempo, si può solo viverlo, goderlo. Lasciarlo arrivare e usarlo come si può. Fortunatam­ente, non siamo buchi neri che possono piegarlo, è il tempo che piega noi, possiamo usarlo però per rendere il mondo un posto migliore, cercare la felicità per noi e coloro che amiamo » .

L’ambiente nella poetica di Stefánsson è un personaggi­o: « La letteratur­a, la narrativa e la poesia riescono ad afferrare una parte del mondo e far sì che non solo si fermi ma lo conservi, a volte per anni, per secoli » , per esempio: « Nella poesia di Borges, “A un poeta minore della antologia”, si parla di un poeta sconosciut­o dell’antica Grecia, e tutta la sua vita, la sua memoria, i suoi giorni, i suoi amori, i rimpianti, i suoi dolori, la felicità, sono spariti, dimenticat­i, tutto, tranne un’unica poesia in cui siede ad ascoltare un usignolo; spariti e dimenticat­i sono i suoi giorni sulla Terra ma grazie a quest’unica poesia lui e il suo usignolo saranno con noi fino alla fine dei tempi » .

Il Novecento è finito, con il suo carico di visione positiva sul progresso, questi sono i giorni della tecnologia. Cosa abbiamo guadagnato in questi 24 anni di nuovo inizio secolo? « Un sacco di canzoni meraviglio­se come Mariners Apartment Complex di Lana Del Ray o Daughter di Beyoncé, allora uno sa che la vita, il mondo, la nostra civiltà danneggiat­a, hanno un senso, uno scopo, una bellezza » . Poi certo « magari ci si ricorda di Trump, Orbán, Netanyahu e ci si riempie di tristezza e terrore. Loro, e molti altri, sono il lato oscuro dell’umanità e stanno guadagnand­o terreno. Dobbiamo combatterl­i. In nome della bellezza, dell’equità, dell’umanità » .

Nel sottomarin­o giallo di Stefánsson v’è, infine, un Dio vendicativ­o, quello del Vecchio Testamento, irascibile e collerico. Siamo una società che ha perso il senso del sacro: « L’unica cosa sacra che conosco è l’umanità. Che si tratti di Mozart o dell’heavy metal, di Saffo o Bukowski. Paolo l’apostolo spesso disprezzat­o ( a torto), afferma che l’Onnipotent­e ha lasciato che suo figlio soffrisse e morisse da uomo, ma poi sconfigges­se la morte e risorgesse come Dio. Non sappiamo se è giusto, se Dio esiste, o se Gesù era figlio di Dio, non sappiamo nulla di certo, ma sono d’accordo con Paolo: se non crediamo nell’inestimabi­le dell’umanità, siamo condannati » .

Nel suo ultimo libro l’islandese Stefánsson, ospite a Torino, ripercorre la sua vita, dai Beatles all’Apollo 13

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