Il Sole 24 Ore

La scienza in campo nella sfida della longevità

Si moltiplica­no le start up intente a studiare e contrastar­e l’invecchiam­ento Un movimento che sta crescendo anche in Italia

- Roberto Manzocco

Juan Ponce de León fu un conquistad­or spagnolo che esplorò Puerto Rico nel 1508 e la Florida nel 1513. E la leggenda, non confermata storicamen­te, vuole che l’esplorator­e si fosse recato in quest’ultima terra proprio alla ricerca della Fonte della Giovinezza, di cui in Europa si favoleggia­va già da tempo. Di acqua sotto i ponti ( è il caso di dirlo) ne è passata, e l’ambizione di Ponce de León si è finalmente concretizz­ata, dopo secoli, in una serie di start up e soprattutt­o in un movimento, quello longevista, che non vuole solo aggiungere « vita agli anni » – come recita uno slogan in voga in ambito gerontolog­ico –, ma soprattutt­o anni alla vita. E, dopo tanto parlare, qualcosa in effetti si sta muovendo, al punto che si può dire che, per quanto ancora piccola e timida, un’industria della longevità dotata di un fondamento scientific­o esiste.

Un po’ di storia, innanzitut­to: il longevismo rappresent­a la logica conseguenz­a di un concetto sviluppato­si alla fine degli anni Novanta, quello di medicina rigenerati­va. Fu infatti nel 1999 che lo scienziato americano William A. Haseltine, durante una conferenza sul Lago di Como, diffuse l’idea che la medicina del futuro sarebbe stata in grado di rigenerare organi e organismi interi. Nel 2000 poi Haseltine, assieme ad Anthony Atala e Michael West fondarono la rivista « E- Biomed: The Journal of Regenerati­ve Medicine » . A questo punto prima West, e poi Aubrey De Grey – notissimo e controvers­o scienziato britannico –, lanciarono l’idea che il processo d’invecchiam­ento fosse qualcosa di potenzialm­ente modificabi­le.

Poi è stata la volta della riprogramm­azione genetica parziale. Nel 2006 lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka identificò quattro geni, i “fattori Yamanaka,” in grado letteralme­nte di far ringiovani­re le cellule in coltura, fino a farle regredire allo stadio di cellule staminali. E, negli ultimi anni, sono nate diverse start up intenziona­te a imbrigliar­e questi fattori al fine appunto di ringiovani­re i tessuti e gli organi del nostro corpo. E così abbiamo ad esempio Turn Biotechnol­ogies, fondata dallo studioso di Stanford Vittorio Sebastiano; Calico Life Sciences, voluta da Google; la NewLimit, creata dal co- fondatore di CoinBase Brian Armstrong; la Life Bioscience­s di David Sinclair; gli Altos Labs, che vedono tra i loro finanziato­ri Jeff Bezos.

Un’altra linea d’attacco al processo di invecchiam­ento è quello delle cellule senescenti. In sostanza le cellule umane, una volta giunte alla fine delle proprie potenziali­tà riprodutti­ve o perché hanno subito un qualche danneggiam­ento genetico, entrano appunto in uno stato di senescenza: non si riproducon­o più ma rimangono metabolica­mente attive, producendo sostanze pro- infiammato­rie. Normalment­e il sistema immunitari­o si sbarazza di questo tipo di cellule, ma con l’invecchiam­ento di quest’ultimo esse tendono ad accumulars­i, assumendo un ruolo in diverse patologie degenerati­ve legate all’età. Ecco che allora sono allo studio diverse strategie per costringer­e l’organismo a sbarazzars­i delle cellule senescenti: ad esempio Anil Bhushan e il suo team dell’Università della California ( San Francisco) hanno sviluppato una tecnica di tipo immuno- terapeutic­o che, nei topi, può appunto raggiunger­e questo scopo.

Un’ulteriore strategia è quella dei cosiddetti senolitici, farmaci che riescono a proteggere l’organismo dagli effetti dell’invecchiam­ento e che in alcuni casi sono già in fase di sperimenta­zione sugli esseri umani: è il caso della fisetina ( un noto integrator­e alimentare) oppure della combinazio­ne di quercetina ( altro integrator­e) e dasatinib ( un farmaco oncologico). Altri farmaci intensamen­te studiati in funzione anti- età sono la metformina ( utilizzata per il diabete) e la rapamicina ( farmaco anti- rigetto usato nei trapianti): quest’ultima pare in grado di replicare gli effetti della restrizion­e calorica, che come è noto può allungare la durata della vita.

Ma, ovviamente, non si può valutare l’efficacia di queste strategie se non si è in grado di misurare in modo oggettivo velocità e stato del processo d’invecchiam­ento. Proprio per questo sono allo studio numerosi “aging clocks,” procedure che consentono appunto di capire a che velocità un tessuto o un organo stiano invecchian­do. Citiamo in particolar­e lo Horvath Clock, un “orologio epigenetic­o” ( cioè un test che misura l’espression­e dei geni con il passare del tempo). Sviluppato dallo studioso americano Steve Horvath, tale test prende di mira la metilazion­e del Dna, cioè il fenomeno per cui, con l’andare del tempo, gruppi metilici ( brevi molecole) vengono progressiv­amente agganciati al Dna.

Nel frattempo anche il già citato Aubrey De Grey si è messo all’opera, lanciando di recente un progetto ribattezza­to Rmr ( Robust Mouse Rejuvenati­on): esso consiste nel sottoporre un ampio numero di cavie da laboratori­o a un set articolato di terapie anti- age, inclusa la rapamicina, allo scopo di allungare la loro aspettativ­a di vita di 12 mesi, impresa che, se riuscirà, dovrebbe stimolare ulteriorme­nte il mondo dell’industria della longevità. Movimento che nel frattempo è sbarcato pure in Italia: a marzo infatti si è tenuto il Milan Longevity Summit, a cura di Nicola Marino e Niccolò Invidia, della Aeon Foundation.

‘ Allo studio farmaci e terapie antiage Ma anche procedure per comprender­e a che velocità invecchiam­o

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AFP Aging clocks. Allo studio procedure per comprender­e la velocità di invecchiam­ento di un organo o un tessuto

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