La scienza in campo nella sfida della longevità
Si moltiplicano le start up intente a studiare e contrastare l’invecchiamento Un movimento che sta crescendo anche in Italia
Juan Ponce de León fu un conquistador spagnolo che esplorò Puerto Rico nel 1508 e la Florida nel 1513. E la leggenda, non confermata storicamente, vuole che l’esploratore si fosse recato in quest’ultima terra proprio alla ricerca della Fonte della Giovinezza, di cui in Europa si favoleggiava già da tempo. Di acqua sotto i ponti ( è il caso di dirlo) ne è passata, e l’ambizione di Ponce de León si è finalmente concretizzata, dopo secoli, in una serie di start up e soprattutto in un movimento, quello longevista, che non vuole solo aggiungere « vita agli anni » – come recita uno slogan in voga in ambito gerontologico –, ma soprattutto anni alla vita. E, dopo tanto parlare, qualcosa in effetti si sta muovendo, al punto che si può dire che, per quanto ancora piccola e timida, un’industria della longevità dotata di un fondamento scientifico esiste.
Un po’ di storia, innanzitutto: il longevismo rappresenta la logica conseguenza di un concetto sviluppatosi alla fine degli anni Novanta, quello di medicina rigenerativa. Fu infatti nel 1999 che lo scienziato americano William A. Haseltine, durante una conferenza sul Lago di Como, diffuse l’idea che la medicina del futuro sarebbe stata in grado di rigenerare organi e organismi interi. Nel 2000 poi Haseltine, assieme ad Anthony Atala e Michael West fondarono la rivista « E- Biomed: The Journal of Regenerative Medicine » . A questo punto prima West, e poi Aubrey De Grey – notissimo e controverso scienziato britannico –, lanciarono l’idea che il processo d’invecchiamento fosse qualcosa di potenzialmente modificabile.
Poi è stata la volta della riprogrammazione genetica parziale. Nel 2006 lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka identificò quattro geni, i “fattori Yamanaka,” in grado letteralmente di far ringiovanire le cellule in coltura, fino a farle regredire allo stadio di cellule staminali. E, negli ultimi anni, sono nate diverse start up intenzionate a imbrigliare questi fattori al fine appunto di ringiovanire i tessuti e gli organi del nostro corpo. E così abbiamo ad esempio Turn Biotechnologies, fondata dallo studioso di Stanford Vittorio Sebastiano; Calico Life Sciences, voluta da Google; la NewLimit, creata dal co- fondatore di CoinBase Brian Armstrong; la Life Biosciences di David Sinclair; gli Altos Labs, che vedono tra i loro finanziatori Jeff Bezos.
Un’altra linea d’attacco al processo di invecchiamento è quello delle cellule senescenti. In sostanza le cellule umane, una volta giunte alla fine delle proprie potenzialità riproduttive o perché hanno subito un qualche danneggiamento genetico, entrano appunto in uno stato di senescenza: non si riproducono più ma rimangono metabolicamente attive, producendo sostanze pro- infiammatorie. Normalmente il sistema immunitario si sbarazza di questo tipo di cellule, ma con l’invecchiamento di quest’ultimo esse tendono ad accumularsi, assumendo un ruolo in diverse patologie degenerative legate all’età. Ecco che allora sono allo studio diverse strategie per costringere l’organismo a sbarazzarsi delle cellule senescenti: ad esempio Anil Bhushan e il suo team dell’Università della California ( San Francisco) hanno sviluppato una tecnica di tipo immuno- terapeutico che, nei topi, può appunto raggiungere questo scopo.
Un’ulteriore strategia è quella dei cosiddetti senolitici, farmaci che riescono a proteggere l’organismo dagli effetti dell’invecchiamento e che in alcuni casi sono già in fase di sperimentazione sugli esseri umani: è il caso della fisetina ( un noto integratore alimentare) oppure della combinazione di quercetina ( altro integratore) e dasatinib ( un farmaco oncologico). Altri farmaci intensamente studiati in funzione anti- età sono la metformina ( utilizzata per il diabete) e la rapamicina ( farmaco anti- rigetto usato nei trapianti): quest’ultima pare in grado di replicare gli effetti della restrizione calorica, che come è noto può allungare la durata della vita.
Ma, ovviamente, non si può valutare l’efficacia di queste strategie se non si è in grado di misurare in modo oggettivo velocità e stato del processo d’invecchiamento. Proprio per questo sono allo studio numerosi “aging clocks,” procedure che consentono appunto di capire a che velocità un tessuto o un organo stiano invecchiando. Citiamo in particolare lo Horvath Clock, un “orologio epigenetico” ( cioè un test che misura l’espressione dei geni con il passare del tempo). Sviluppato dallo studioso americano Steve Horvath, tale test prende di mira la metilazione del Dna, cioè il fenomeno per cui, con l’andare del tempo, gruppi metilici ( brevi molecole) vengono progressivamente agganciati al Dna.
Nel frattempo anche il già citato Aubrey De Grey si è messo all’opera, lanciando di recente un progetto ribattezzato Rmr ( Robust Mouse Rejuvenation): esso consiste nel sottoporre un ampio numero di cavie da laboratorio a un set articolato di terapie anti- age, inclusa la rapamicina, allo scopo di allungare la loro aspettativa di vita di 12 mesi, impresa che, se riuscirà, dovrebbe stimolare ulteriormente il mondo dell’industria della longevità. Movimento che nel frattempo è sbarcato pure in Italia: a marzo infatti si è tenuto il Milan Longevity Summit, a cura di Nicola Marino e Niccolò Invidia, della Aeon Foundation.
‘ Allo studio farmaci e terapie antiage Ma anche procedure per comprendere a che velocità invecchiamo