IL DIRITTO VA DISTINTO DAL SEMPLICE DESIDERIO
Idati sulla contribuzione studentesca riportati qui accanto dal Sole 24 Ore evidenziano un trend decennale che merita un’approfondita riflessione. Il tema è davvero cruciale per il Paese in un’epoca in cui l’istruzione è la moneta del progresso sociale e culturale e il diritto allo studio universitario rappresenta non solo un pilastro della nostra democrazia, ma anche un ponte verso il futuro. In prospettiva storica, molti sono stati gli interventi posti in essere per garantire il raggiungimento del pieno diritto allo studio universitario. Volendo semplificare, essi si possono identificare lungo due linee strategiche.
Con la prima lo Stato ha inteso garantire una “parità di accesso” a un’istruzione universitaria di qualità “garantita”: ha così autorizzato, con la massificazione del sistema, la distribuzione delle sedi universitarie su tutto il territorio nazionale; per mitigare i rischi di “provincialismo” si è stabilito che il personale fosse reclutato con criteri tali da garantire un’omogenea distribuzione della qualità e, soprattutto, lo Stato ha previsto il meccanismo del “titolo legale” per assicurare ai laureati il riconoscimento dei propri studi almeno in tutte le occasioni dove si rende necessaria una valutazione pubblica degli stessi.
Con la seconda linea strategica, data la crescente pressione competitiva internazionale e l’incremento della mobilità studentesca, l’attenzione si è via via rivolta alla qualità degli atenei: con incentivi per migliorare l’attrattività verso gli studenti; attribuendo quote premiali per i risultati di ricerca, in quota crescente fino all’attuale 30% dei fondi statali ordinari e con formule per l’attribuzione dei fondi specifici agli atenei più virtuosi.
Mentre la prima linea di intervento ha portato le università ad “assomigliarsi” e offrire un livello qualitativo comparabile, la seconda linea ha spinto, viceversa, alla differenziazione. La strategia di garantire un servizio uniforme per tutti, investendo sulla qualità media, si scontra con la necessità di diversificare l’offerta per rispondere alle esigenze di un mondo in rapida evoluzione.
Le conseguenze sull’impalcatura del diritto non sono per nulla banali. In particolare, sorge la domanda: se l’obiettivo costituzionale è quello di permettere l’accesso « ai gradi più alti degli studi » , il cui valore legale è garantito, possiamo considerare sufficiente l’accessibilità a un corso universitario a prezzi accessibili, non troppo lontano da casa, con disponibilità di alloggi per coloro che vivono in aree remote e una borsa di studio a supporto dei meno abbienti? Oppure dobbiamo garantire la libertà di scegliere qualunque sede, vicina o lontana, in qualunque area disciplinare?
Ma c’è una seconda questione, più attuale che in passato, e riguarda il diritto allo studio per gli studenti stranieri. Da un lato, la demografia del nostro Paese lascerebbe intendere che un investimento a garanzia dell’attrattività verso i talenti non italiani giustifichi pienamente l’estensione del diritto allo studio a tutti gli studenti del mondo. Dall’altro, l’incapacità del nostro sistema di trattenere quel talento porta al paradosso di offrire a
DAVANTI A UN BIVIO Poiché i fondi pubblici non sono illimitati bisogna separare la vera tutela costituzionale dall’esigenza legittima
prezzi politici l’educazione universitaria a chi poi la valorizzerà in contesti più attraenti.
Poiché i mezzi finanziari non sono mai illimitati, è forse venuto il momento di distinguere ciò che è un’esigenza sancita dalla Costituzione da ciò che, pur essendo un’aspirazione legittima, non sempre è finanziariamente sostenibile. E chiediamoci, ad esempio, se è possibile garantire che siano presenti corsi di laurea per ogni disciplina in ogni regione o provincia e insieme sostenere il diritto degli studenti di spostarsi verso le aree del Paese preferite. Oppure, possiamo pensare che uno dei due principi sia un “diritto” e prevalga sull’altro, che è invece un “desiderio”, e per il quale può essere necessario un contributo economico o un’attenuazione del beneficio al soggetto interessato. In conclusione, il diritto allo studio in Italia è un principio saldamente ancorato nella Costituzione e nelle nostre tradizioni. E va difeso nell’interesse di tutti. Tuttavia, la sua attuazione pratica richiede un continuo adattamento alle sfide del presente, senza dimenticare l’obiettivo di fornire un’istruzione di qualità e accessibile a tutti in un contesto di equità.