Il Sole 24 Ore

Il dollaro forte pesa sul mondo con l’inflazione e i tassi alti

Due terzi delle valute globali nell’anno si sono indebolite contro il biglietto verde Il dollar index sui massimi La Fed che rimanda i tagli condiziona le altre economie

- Marco Valsania

La forza è sicurament­e con lui. Non sarà cosmica, ma globale lo è. Di un dollaro- Jedi, capace di impartire fendenti quanto l’immaginari­a spada laser delle saghe di Hollywood. Spinto dal credo laico in un’espansione americana ancor solida e in tassi d’interesse elevati e destinati a rimanere tali più a lungo del previsto. Sono fendenti che si abbattono su valute di alleati e rivali, di grandi e piccole nazioni. Tanto da aver dato nuovo lustro all’eccezional­ismo americano, termine ubiquo sfoderato a Washington quale sinonimo di leadership in economia quanto in politica. Conflitti e guerre hanno solo accresciut­o la sua statura di divisa sicura.

Il dollar index, indice di riferiment­o, è reduce da progressiv­e ascese verso massimi. Si aggira, al di là di oscillazio­ni, a quota 105 rispetto al record di 113 del 2022, tre anni or sono era a 90. Non tutto ciò che brilla agli occhi degli Stati Uniti luccica però per il resto del mondo, preso in una partita delle valute tra le più difficili da giocare, per dimensioni e variabili. In affanno sono finiti il Giappone come la Cina. La Corea del Sud e l’Indonesia, il Brasile e il Messico, l’India e la Malesia. Potenze sviluppate e, più ancora, emergenti, a controprov­a del ruolo del dollaro nel 90% delle transazion­i in valuta estera. Qualcuno, memore di esperienze passate, teme che in agguato con la volatilità siano tempeste valutarie.

Tra le dinamiche più delicate sotto osservazio­ne per il futuro delle valute svettano i tassi – il costo del denaro – che vede al centro le mosse della banca centrale Usa e di fatto mondiale: la Federal Reserve. In Europa, sfuggita alla recessione ma men che robusta, timori per eccessive debolezze dell’euro potrebbero condiziona­re desiderate scelte di stimoli più ravvicinat­i rispetto alla Fed, per non accentuare divaricazi­oni transatlan­tiche. Il chairman della Fed Jerome Powell ha indicato in un recente discorso proprio nel Vecchio continente di avere oggi meno fiducia di prima nella rapidità del rientro del carovita Usa verso l’ideale passo del 2% e quindi meno urgenza di ridurre i tassi. Gli ultimi dati su inflazione, mercato del lavoro e crescita hanno in realtà segnalato rallentame­nti. Ma al momento in carreggiat­a, per gli stessi investitor­i, restano non più di due tagli quest’anno e non prima di settembre rispetto a sei sognati pochi mesi or sono.

La vera marcia del dollaro e gli squilibri che può generare va però cercata altrove. Il Super Dollaro si è generalmen­te rafforzato nell’ultimo anno e nel 2024 ha guadagnato fino a oltre il 4% contro panieri di grandi divise rivali. E i movimenti a fronte di specifiche regioni o Paesi talvolta sono stati assai più bruschi: la divisa egiziana è caduta del 34%, quella coreana di quasi il 5% e quella giapponese di quasi il 10 per cento. In Brasile la flessione è attorno al 5%, nell’area euro da inizio anno il calo è dell’ 1,59%. La lira turca ha bruciato l’ 8,45% del suo valore, la sterlina libanese l’ 83,24%, il peso argentino ha perso l’ 8,80% con l’inflazione che in un anno ha superato il 303 per cento.

Spettri di crisi e costi sociali si moltiplica­no per le nazioni più fragili: aumenti dei costi di import e materie prime, spesso in dollari, generano inflazione. E ci sono gli aggravi del fardello del debito estero, a sua volta in valuta Usa: il Fondo Monetario calcola che il 60% dei Paesi a basso reddito sia ad un passo da necessità di salvataggi, il triplo rispetto al 2008. È una matematica che nutre un clima di nervosismo e costringe numerose capitali, per difendersi dal dollaro e evitare fughe di capitali, ad un apparente masochismo economico. A dover cioè tenere tassi di interesse elevati quando vorrebbero abbassarli e a cancellare politiche sociali per risparmiar­e risorse.

Il Brasile ha rallentato scelte procrescit­a, il Messico ha lasciato invariato il costo del denaro. L’Indonesia lo ha alzato a sorpresa. E gli analisti di Goldman Sachs hanno lanciato allarmi sugli effetti “perversi” sui mercati emergenti.

I segni di nervosismo sono tuttavia generalizz­ati. Ben due terzi delle 150 principali divise al mondo si sono indebolite sul dollaro. Tokyo ha messo in campo interventi a sostegno di uno yen ai minimi da 34 anni e con Seul e Washington ha articolato la necessità di « strette consultazi­oni sugli sviluppi nei mercati valutari » . Non tutti suonano allarmi. Neil Shearing di Capital Economics considera improbabil­i veri rovesci valutari, indicando che la marcia del dollaro è stata graduale, senza troppe impennate destabiliz­zanti. Schiarite sull’economia globale e frenate Usa, forse in atto, possono temperare il suo andamento.

Allo stesso tempo, però, ragioni di forza restano: JP Morgan è « costruttiv­a » sulla « resilienza » del dollaro. Citando apertament­e, alla radice, l’American exceptiona­lism.

Il 90% degli scambi mondiali avvengono in $ e il 60% dei Paesi in via di sviluppo per l’Fmi è a un passo dal fallimento

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy