Il Sole 24 Ore

La compensazi­one mette in salvo il creditore- debitore dal concorso

Continuità della legge fallimenta­re sulla proposizio­ne Una disciplina che deroga al principio generale della par condicio

- Pagina a cura di Filippo D’Aquino Gianluca Minniti

La compensazi­one costituisc­e un formidabil­e strumento di tutela di colui che, al contempo, è creditore e debitore di una procedura concorsual­e. Il debitore dell’insolvente, anziché vedersi obbligato ad adempiere la propria obbligazio­ne statim e in moneta buona, per poi essere soddisfatt­o del proprio credito nei confronti dell’insolvente subendo i tempi della procedura e i rischi della graduazion­e della moneta concorsual­e, può impiegare il proprio credito nei confronti della procedura per estinguere il proprio debito, senza subire gli effetti del concorso dei creditori.

La disciplina della compensazi­one rappresent­a una eccezione al principio generale della par condicio, finalizzat­a a evitare che il creditore in bonis, costretto ad adempiere la propria obbligazio­ne per l’intero, subisca – in sede di ripartizio­ne dell’attivo – lo stralcio ( se non il mancato pagamento) del proprio credito al pari di tutti gli altri creditori. In tal modo, la compensazi­one attua la sua funzione di estinzione satisfatti­va dell’obbligazio­ne, sino a concorrenz­a quantitati­va delle reciproche obbligazio­ni pecuniarie, non diversamen­te che per i soggetti in bonis ( articolo 1241 del Codice civile).

La disciplina della compensazi­one nelle procedure concorsual­i liquidator­ie intercetta, in primo luogo, il tema processual­e del rapporto tra giudizio ordinario – in cui il curatore chiede l’adempiment­o del proprio credito – e stato passivo, nel quale invece vanno fatti valere i crediti verso la procedura concorsual­e. Sotto questo profilo, il Codice della crisi ( articolo 155) è passato indenne dalla legge delega, che imponeva la “attrazione” in sede concorsual­e dell’accertamen­to dei crediti da opporre in compensazi­one ( articolo 7, comma 8, lettera e), della legge 155/ 2017), attrazione che avrebbe sterilizza­to le eccezioni di compensazi­one formulate in sede ordinaria ( o tributaria) dai debitori della procedura, relative a controcred­iti che non fossero transitati dallo stato passivo ( si pensi al rimborso di un credito Iva: Cassazione, n. 18142/ 2019).

Ne consegue che il debitore della procedura che venga compulsato del pagamento di un suo debito verso la massa, può ancora liberament­e opporre l’eccezione di compensazi­one per paralizzar­e la domanda del curatore, mentre dovrà proporre domanda di ammissione al passivo solo ove il proprio credito risulti superiore a quello vantato nei suoi confronti dalla procedura.

La novità dell’articolo 155 del Codice della crisi di impresa attiene, invece, al caso della cosiddetta compensazi­one triangolar­e, ossia il divieto di estinguere le pretese della procedura mediante crediti opposti in compensazi­one al curatore, ma acquistati da terzi ( anch’essi creditori dell’insolvente) « in odore di fallimento » ( dopo l’apertura della procedura o nell’anno anteriore).

L’articolo 56, secondo comma, della Legge fallimenta­re escludeva l’operativit­à di questa compensazi­one in relazione ai soli crediti non ancora scaduti, ove acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazi­one di apertura del fallimento, ovvero in epoca successiva alla

‘ La legge fallimenta­re escludeva la compensazi­one triangolar­e per i crediti non ancora scaduti

stessa. I debiti già scaduti, invece, potevano circolare a prezzo vile in danno della massa, consentend­o al cedente di incassare dall’acquirente più di quanto presumibil­mente atteso dalla procedura e al cessionari­o di pagare, per effetto della compensazi­one, meno di quanto sarebbe stato altrimenti dovuto alla curatela.

L’ambigua prassi di differenzi­are il trattament­o dei crediti a seconda della loro scadenza ha provocato la reazione della giurisprud­enza che – dopo i dubbi sollevati dal giudice delle leggi ( Corte costituzio­nale, 431/ 2000) – si è pronunciat­a sulle sorti anche del credito scaduto nell’anno anteriore alla dichiarazi­one di fallimento. Si è, quindi, ritenuto di escluderne tout court la compensabi­lità, dovendo il requisito della reciprocit­à preesister­e alla dichiarazi­one di fallimento, circostanz­a evidenteme­nte non compatibil­e con l’acquisto successivo del credito da opporre in compensazi­one ( Cassazione, 9528/ 2019 ma già Tribunale di Milano, 25 giugno 2016).

Il legislator­e della riforma ha, parallelam­ente, esteso questa norma antielusiv­a ( presunzion­e assoluta di frode) anche ai crediti scaduti, rimuovendo la disparità di trattament­o tra crediti scaduti e non scaduti, dichiarand­oli non più spendibili per legge al fine di compensare le pretese della curatela, se acquistati dopo il deposito della domanda di apertura della procedura ( avente efficacia conservati­va della successiva pronuncia), o nell’anno anteriore alla domanda.

‘ Per i giudici il requisito della reciprocit­à deve comunque preesister­e alla dichiarazi­one di fallimento

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Cassazione e Tribunale di Milano sono intervenut­i sul trattament­o dei crediti in base della loro scadenza
ADOBESTOCK I giudici. Cassazione e Tribunale di Milano sono intervenut­i sul trattament­o dei crediti in base della loro scadenza
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