La compensazione mette in salvo il creditore- debitore dal concorso
Continuità della legge fallimentare sulla proposizione Una disciplina che deroga al principio generale della par condicio
La compensazione costituisce un formidabile strumento di tutela di colui che, al contempo, è creditore e debitore di una procedura concorsuale. Il debitore dell’insolvente, anziché vedersi obbligato ad adempiere la propria obbligazione statim e in moneta buona, per poi essere soddisfatto del proprio credito nei confronti dell’insolvente subendo i tempi della procedura e i rischi della graduazione della moneta concorsuale, può impiegare il proprio credito nei confronti della procedura per estinguere il proprio debito, senza subire gli effetti del concorso dei creditori.
La disciplina della compensazione rappresenta una eccezione al principio generale della par condicio, finalizzata a evitare che il creditore in bonis, costretto ad adempiere la propria obbligazione per l’intero, subisca – in sede di ripartizione dell’attivo – lo stralcio ( se non il mancato pagamento) del proprio credito al pari di tutti gli altri creditori. In tal modo, la compensazione attua la sua funzione di estinzione satisfattiva dell’obbligazione, sino a concorrenza quantitativa delle reciproche obbligazioni pecuniarie, non diversamente che per i soggetti in bonis ( articolo 1241 del Codice civile).
La disciplina della compensazione nelle procedure concorsuali liquidatorie intercetta, in primo luogo, il tema processuale del rapporto tra giudizio ordinario – in cui il curatore chiede l’adempimento del proprio credito – e stato passivo, nel quale invece vanno fatti valere i crediti verso la procedura concorsuale. Sotto questo profilo, il Codice della crisi ( articolo 155) è passato indenne dalla legge delega, che imponeva la “attrazione” in sede concorsuale dell’accertamento dei crediti da opporre in compensazione ( articolo 7, comma 8, lettera e), della legge 155/ 2017), attrazione che avrebbe sterilizzato le eccezioni di compensazione formulate in sede ordinaria ( o tributaria) dai debitori della procedura, relative a controcrediti che non fossero transitati dallo stato passivo ( si pensi al rimborso di un credito Iva: Cassazione, n. 18142/ 2019).
Ne consegue che il debitore della procedura che venga compulsato del pagamento di un suo debito verso la massa, può ancora liberamente opporre l’eccezione di compensazione per paralizzare la domanda del curatore, mentre dovrà proporre domanda di ammissione al passivo solo ove il proprio credito risulti superiore a quello vantato nei suoi confronti dalla procedura.
La novità dell’articolo 155 del Codice della crisi di impresa attiene, invece, al caso della cosiddetta compensazione triangolare, ossia il divieto di estinguere le pretese della procedura mediante crediti opposti in compensazione al curatore, ma acquistati da terzi ( anch’essi creditori dell’insolvente) « in odore di fallimento » ( dopo l’apertura della procedura o nell’anno anteriore).
L’articolo 56, secondo comma, della Legge fallimentare escludeva l’operatività di questa compensazione in relazione ai soli crediti non ancora scaduti, ove acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di apertura del fallimento, ovvero in epoca successiva alla
‘ La legge fallimentare escludeva la compensazione triangolare per i crediti non ancora scaduti
stessa. I debiti già scaduti, invece, potevano circolare a prezzo vile in danno della massa, consentendo al cedente di incassare dall’acquirente più di quanto presumibilmente atteso dalla procedura e al cessionario di pagare, per effetto della compensazione, meno di quanto sarebbe stato altrimenti dovuto alla curatela.
L’ambigua prassi di differenziare il trattamento dei crediti a seconda della loro scadenza ha provocato la reazione della giurisprudenza che – dopo i dubbi sollevati dal giudice delle leggi ( Corte costituzionale, 431/ 2000) – si è pronunciata sulle sorti anche del credito scaduto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Si è, quindi, ritenuto di escluderne tout court la compensabilità, dovendo il requisito della reciprocità preesistere alla dichiarazione di fallimento, circostanza evidentemente non compatibile con l’acquisto successivo del credito da opporre in compensazione ( Cassazione, 9528/ 2019 ma già Tribunale di Milano, 25 giugno 2016).
Il legislatore della riforma ha, parallelamente, esteso questa norma antielusiva ( presunzione assoluta di frode) anche ai crediti scaduti, rimuovendo la disparità di trattamento tra crediti scaduti e non scaduti, dichiarandoli non più spendibili per legge al fine di compensare le pretese della curatela, se acquistati dopo il deposito della domanda di apertura della procedura ( avente efficacia conservativa della successiva pronuncia), o nell’anno anteriore alla domanda.
‘ Per i giudici il requisito della reciprocità deve comunque preesistere alla dichiarazione di fallimento