CARRI E CARRO E RIUNIRONO L’EUROPA
Penalizzato dalle strade dissestate e dalla contrazione dei commerci, per molti secoli il trasporto su ruote ebbe vita diicile. Ma i popoli del Nord lo rivitalizzarono, grazie ad alcune innovazioni fondamentali
Le efficienti e ramificate vie consolari, battute ai tempi di Roma da una straordinaria moltitudine di carri a due o quattro ruote, dopo la caduta dell’impero divennero sempre più impraticabili. Abbandonato a se stesso e all’incuria del tempo, orfano della meticolosa manutenzione pubblica, riconquistato dalla natura e depredato dai ladri di pietre, il prodigioso sistema viario dell’urbe decadde parallelamente al traffico di uomini e merci, entrambi vittime della crisi politica e di quella economica da essa provocata.
I carri a quattro ruote scomparvero quasi del tutto: sulle strade non più lastricate, nemmeno la forza dei buoi era in grado di sottrarli al fango e alle buche. Gli uomini dell’alto Medioevo, tuttavia, a differenza di quanto erroneamente si crede, non smisero di viaggiare, ma continuarono a farlo soprattutto a seguendo che restava delle antiche strade oppure, più spesso, camminando faticosamente su percorsi piedi, quel variamente accidentati. I pochi privilegiati che potevano permettersi una cavalcatura erano gli uomini d’armi e quelli di Chiesa, i primi su cavalli robusti, selezionati per combattere, i secondi a dorso di mulo.
Le fuoriserie medievali
Nei regni romano-barbarici i pochi carri sopravvissuti alla crisi persero l’estetica accattivante che aveva contraddistinto i modelli classici e divennero semplici ma solide vetture da lavoro, impiegate in agricoltura e nel commercio. Tuttavia, furono proprio i cosiddetti “barbari” a salvare dall’oblio le vetture da traino. I re merovingi, per esempio, non rinunciarono a spostarsi sui carri: si limitarono a sostituire i nobili ma bizzosi cavalli con i più miti ma possenti buoi, senza dubbio
meno belli a vedersi (e certamente meno eleganti) ma capaci di sopportare ruote massicce e pesanti, e terreni più difficili. Mentre nell’europa mediterranea il
traffico su due o quattro ruote languiva, sostituito da quello lungo le relativamente più sicure vie d’acqua (mari, laghi e fiumi), nelle foreste del Nord e nelle steppe orientali, tra L’VIII e il IX secolo furono introdotte due novità rivoluzionarie: la ferratura dei cavalli e il collare da spalla per gli animali da tiro. Soluzioni in grado di rivitalizzare non solo il trasporto su ruota, ma anche i commerci dell’epoca, garantendo al surplus di produzione agricola (che nel frattempo si stava creando, grazie a una maggiore stabilità politica) di raggiungere anche mercati lontani dai luoghi di produzione.
A partire dall’anno Mille, la ripresa dei traffici commerciali, il rinnovato fervore religioso e la conseguente esplosione del fenomeno dei pellegrinaggi rimisero in marcia anche i carri, indispensabili al trasporto “celere” di una gran quantità di persone, che per età o per malattie non sempre erano in condizioni fisiche adatte ad affrontare un lungo viaggio a piedi.
Dopo secoli di relativo “torpore”, carri, carrozze e carretti ripresero a battere la strada, con forme e fogge diverse a seconda dello status del proprietario. Quando non si spostava a piedi, il popolino viaggiava su semplici “cassoni” di derivazione agricola, a un solo asse (quindi a due ruote), trainati da buoi e ricoperti da una rustica tettoia di pelle o di stoffa, molto semplice, fissata al carro da centine di legno incurvate a semicerchio.
I signori, invece, si accomodavano su più confortevoli vetture a due assi (e quattro ruote), talvolta con l’avantreno girevole (per poter curvare più agevolmente), trainate da due o quattro cavalli e con gli interni impreziositi da stoffe pregiate, cuscini e tappezzerie ricamate in oro. Alla fine del Duecento fece scalpore l’entrata trionfale a Napoli di Carlo I d’angiò, al cui seguito veniva la consorte, Beatrice di Provenza, assisa su un carro tappezzato di velluto blu cielo e decorato, all’interno, di gigli rica