INNOVARE NON STANCA E FA LAVORARE (BENE)
Le aziende aperte al cambiamento e più attente ai dipendenti. Vince Vetrya, poi American Express e Cisco
Un campus con zone adibite a ufficio e altre per lo sport. Un asilo aperto ai figli dei dipendenti. Sta a Orvieto, nel cuore dell’umbria, il miglior posto in cui lavorare dentro un’azienda innovativa. Lo certifica uno speciale riconoscimento dil Great place to Work, andato a Vetrya, la startup fondata da Luca Tomassini, quotata all’aim di Piazza Affari che offre servizi tech come piattaforme cloud, broadcasting e contenuti.
La società si è piazzata davanti a colossi quali American Express, Cisco e la catena di hotel Hilton. Il gruppo finanziario è quello con il maggior numero di dipendenti (oltre mille) , racconta Rosa Santamaria, Hr manager di American Express. Non solo: uno speciale riconoscimento va, per il settore customer care, a chi suggerisce aree di miglioramento. «Il 60% degli spunti viene implementato», sostiene la manager. Che in Italia organizza un hackathon, la sfida tecnologica su come affrontare la trasformazione digitale.
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Ma non c’è solo la tecnologia: nella graduatoria (posizione 14) è finito lo studio legale Portolano Cavallo, fondato nel 2001 da Manuela Cavallo e Francesco Portolano che conta su 38 professionisti, età media sotto i 40 anni e una spinta all’innovazione. «Una caratteristica che ci appartiene dalle prime cose che abbiamo fatto — racconta Francesco Portolano —. Quando ci chiedevamo in che modo organizzare gli archivi, la risposta non era: facciamo come gli altri, ma in maniera del tutto diversa. Abbiamo cercato il nostro percorso». Oggi lo studio ha tre sedi (Milano, Roma, New York), i fondatori lavorano in open space insieme ai collaboratori. Ma la law firm sta lontana dal conformismo soprattutto per come lavora. «Nell’affrontare le cause in Tribunale chiediamo ai colleghi di non pensare per consuetudini ma in maniera differente. Alle cause applichiamo il pensiero laterale, nuove modalità di affrontare i problemi». Lo studio è un punto di riferimento delle imprese attive nel biotech, nelle scienze della vita e nel digitale.
«Il premio riconosce l’impegno a disegnare strategie che favoriscano l’innovazione con strumenti all’avanguardia, costruendo un ambiente in cui generare idee diventa un fatto raggiungibile per tutti», osserva Andrea Montuschi, presidente di Great place to Work Italia.
Come si arriva al ranking? «Facciamo domande e ci fidiamo più dei dipendenti che dei manager», scherza Montuschi e spiega il progetto che, nell’edizione 2018 ha coinvolto 127 realtà con questionari pensati per misurare due aspetti: il clima aziendale (il Trust index, domande ai dipendenti) e il livello culturale (Culture audit, rivolto ai manager e dirigenti). Nella costruzione della graduatoria, il Trust pesa per i due terzi, il Culture per un terzo. Oltre 54 mila le risposte della classifica generale: da qui è partita un’analisi specifica sul livello di innovazione.
Uno dei punti centrali riguarda la capacità (o meno) dei manager di tollerare gli errori commessi in buona fede dai dipendenti: vengono considerati uno stimolo alla ricerca, non un freno all’attività. «Dove non è ammesso l’errore, i lavoratori sono meno propensi a sviluppare la creatività», spiega Montuschi. C’è grande differenza tra le aziende innovative (al 91,5% tollerano gli errori) e il resto (73,1%). Ancora: è stato chiesto ai responsabili se cercano nuove idee o suggerimenti tra i collaboratori. Dalle aziende innovative sono arrivate risposte positive per l’89,5% del campione, percentuale scesa al 67,5% negli altri casi. Infine, è stata analizzata l’apertura (o meno) su modalità nuove di svolgere il servizio: risposta positiva per l’86,4% delle innovative, si ferma al 54,9% per le altre. «Colpisce la forbice così larga. Non si dice sempre che viviamo in un Paese di creativi?», domanda Montuschi.