TIM AL BIVIO LA RETE CONTESA COME 12 ANNI FA TRA DEBITI (TANTI) E GIOCHI DI POTERE
via conference call, il licenziamento mentre si trovava in Corea del Sud. I maligni dicono che sarebbe stato peraltro difficile trovarlo in ufficio visto che non c’era quasi mai ed era sempre a Parigi o a Londra. Genish paga non solo i deludenti risultati della sua gestione, ma soprattutto l’opposizione allo scorporo della rete, alla riedizione del piano Rovati. E forse anche alla voglia di rianimare i valori scomponendo il gruppo.
Inutile girarci intorno, la tentazione dello “spezzatino” per un fondo attivista è irresistibile come il riflesso dello scorpione. A maggior ragione se il governo — come ha anticipato il vicepremier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro Luigi Di Maio — si dichiara favorevole a una società unica, da realizzare in due mesi (sic), con la fusione tra la stessa Tim, una volta scorporati asset e servizi e lasciata la sola infrastruttura, e Open Fiber. Soluzione alla quale darebbe un apporto fondamentale la Cassa depositi e prestiti (Cdp), che è azionista sia di Tim sia, insieme ad Enel, di Open Fiber. Non solo. L’esecutivo lascia intravedere la ricostituzione — come ha spiegato bene Sabino Cassese sul del 12 novembre — di un monopolio pubblico che, al di là del compito di portare la banda ultralarga nel Paese, si accollerebbe poi migliaia di dipendenti e, soprattutto, miliardi di debito. Cioè leverebbe un po’ di castagne dal fuoco all’incumbent che ha dichiarato una perdita per svalutazioni di 800 milioni nei primi nove mesi del 2018. Non si sa quale sarebbe la reazione di Vivendi, che portò Genish sostituendolo a Flavio Cattaneo, a sua volta subentrato a Marco Patuano. Il gruppo francese, controllato da Vincent Bolloré, ha in portafoglio il 23,9% delle azioni. Vivendi si è trovata azionista di riferimento di Telecom in maniera preterintenzionale dopo l’uscita dal capitale della spagnola Telefonica. Ha gestito il gruppo con coloniale e napoleonica