La privatizzazione
È frutto della fusione tra Sip, Iritel, Telespazio, Italcable e Sirm. Un anno dopo viene scissa Tim 1997 Con Guido Rossi alla presidenza il Tesoro vende il 35,26% del capitale 1998 Il nocciolo duro Franco Bernabé sale al vertice. Gli azionisti italiani, guidati dall’ifil degli Agnelli, hanno il 6,6%
Confesso che fu colpa di chi scrive se il famoso piano Rovati sulla separazione della rete da Telecom, di cui ancora oggi si parla, diventò pubblico. Era il settembre del 2006 e l’indiscrezione apparve sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore. Angelo Rovati era assistente del presidente del Consiglio Romano Prodi. Era un uomo di visione, di emiliana gentilezza. Ma commise un’ingenuità. Allegò il suo biglietto personale, carta intestata di palazzo Chigi, allo studio della banca d’affari Rothschild sul destino dell’ex monopolista delle telecomunicazioni inviato all’allora presidente e amministratore delegato Marco Tronchetti Provera. Quel «timbro» della politica sullo studio per la separazione della Rete ormai privatizzata scatenò un inferno di polemiche. L’opposizione gridò alla scandalosa ingerenza. Nacque un violento contrasto tra esecutivo e società che negli anni della gestione Tronchetti si aggravò irrimediabilmente.
Telecom ha cambiato nome in Tim. Ha scelto giustamente il marchio che la vide orgogliosamente all’avanguardia al momento del lancio della telefonia mobile. Oggi il prestigioso brand assomiglia a un tintinnio sinistro, preoccupato, sordo. Scandisce la girandola di amministratori delegati (quattro in cinque anni) che si sono succeduti alla guida del gruppo. Alcuni usciti onusti non di gloria ma di bonus di scandalosa generosità. L’ultimo è Amos Genish a cui il fondo americano Elliott — che ha il 9% delle azioni Tim ma dieci consiglieri tra cui il presidente Fulvio Conti — ha comunicato,
La tentazione dello spezzatino per un fondo attivista come Elliott è irresistibile
Corriere