A chi interessa annullare il digital divide
Delle beghe societarie di Tim potremmo anche disinteressarci. Non è la prima né l’ultima azienda con azionisti litigiosi. C’è però un dettaglio: la rete, che è un bene pubblico ma soprattutto un’infrastruttura fondamentale dove far passare innovazione e progresso. Ossia la crescita. Lasciarla in questo momento in mano a Tim, che sembra aver fatto dell’instabilità una regola di governance, rischia di esporre un asset strategico a giochi di potere che nulla hanno a che fare con l’interesse del Paese, anche se tra i giocatori c’è il governo.
L’ex monopolista oggi ha l’unica rete fissa che copre l’intero Paese, a cui è allacciato il 90% delle utenze di cui il 53% della stessa Tim. Dalla rete in rame, o mista rame-fibra, il gruppo telefonico secondo le stime ricava ogni anno 3-4 miliardi di fatturato e tra gli
1,5 e 2 miliardi di margine, con una redditività vicina al 50%.
Vista così sfugge la convenienza per Tim ad accelerare un piano di investimenti sulla fibra ottica. Se è successo, probabilmente, è perché dopo aver incassato 5 miliardi dalle banche, Open Fiber ha iniziato a far sul serio. Ma così ha dato il via a una concorrenza sulle reti, che invece di azzerarlo finirà per aumentare il digital divide. Gli investimenti rischiano infatti di finire concentrati nelle aree più redditizie del Paese, creando nuovi digital divide. Serve quindi coraggio al nuovo amministratore delegato di Tim, e visione, perché in Italia al momento si può solo immaginare cosa potrebbe accadere ai cittadini, al mondo dei professionisti e delle imprese se ci fosse la fibra ottica per tutti. Le preoccupazioni del governo, da questo punto di vista, hanno un fondamento. Tuttavia l’idea che la regia dell’operazione possa essere della Cassa depositi e prestiti lascia intravvedere una voglia di rinazionalizzare la rete — una sorta di «sovranismo infrastrutturale» — che non ha ragion d’essere. I poteri del «golden power» in mano al governo sono più che sufficienti ad assicurare un forte presidio su un asset strategico come l’infrastruttura di comunicazione. Di cui la Cdp sarà certamente un socio importante, come lo sarà Tim, forse con altri operatori, azionisti di una public company che non avendo soci di riferimento può garantire una vera neutralità della rete nell’interesse di tutti.