L'Economia

A chi interessa annullare il digital divide

- Di Federico De Rosa

Delle beghe societarie di Tim potremmo anche disinteres­sarci. Non è la prima né l’ultima azienda con azionisti litigiosi. C’è però un dettaglio: la rete, che è un bene pubblico ma soprattutt­o un’infrastrut­tura fondamenta­le dove far passare innovazion­e e progresso. Ossia la crescita. Lasciarla in questo momento in mano a Tim, che sembra aver fatto dell’instabilit­à una regola di governance, rischia di esporre un asset strategico a giochi di potere che nulla hanno a che fare con l’interesse del Paese, anche se tra i giocatori c’è il governo.

L’ex monopolist­a oggi ha l’unica rete fissa che copre l’intero Paese, a cui è allacciato il 90% delle utenze di cui il 53% della stessa Tim. Dalla rete in rame, o mista rame-fibra, il gruppo telefonico secondo le stime ricava ogni anno 3-4 miliardi di fatturato e tra gli

1,5 e 2 miliardi di margine, con una redditivit­à vicina al 50%.

Vista così sfugge la convenienz­a per Tim ad accelerare un piano di investimen­ti sulla fibra ottica. Se è successo, probabilme­nte, è perché dopo aver incassato 5 miliardi dalle banche, Open Fiber ha iniziato a far sul serio. Ma così ha dato il via a una concorrenz­a sulle reti, che invece di azzerarlo finirà per aumentare il digital divide. Gli investimen­ti rischiano infatti di finire concentrat­i nelle aree più redditizie del Paese, creando nuovi digital divide. Serve quindi coraggio al nuovo amministra­tore delegato di Tim, e visione, perché in Italia al momento si può solo immaginare cosa potrebbe accadere ai cittadini, al mondo dei profession­isti e delle imprese se ci fosse la fibra ottica per tutti. Le preoccupaz­ioni del governo, da questo punto di vista, hanno un fondamento. Tuttavia l’idea che la regia dell’operazione possa essere della Cassa depositi e prestiti lascia intravvede­re una voglia di rinazional­izzare la rete — una sorta di «sovranismo infrastrut­turale» — che non ha ragion d’essere. I poteri del «golden power» in mano al governo sono più che sufficient­i ad assicurare un forte presidio su un asset strategico come l’infrastrut­tura di comunicazi­one. Di cui la Cdp sarà certamente un socio importante, come lo sarà Tim, forse con altri operatori, azionisti di una public company che non avendo soci di riferiment­o può garantire una vera neutralità della rete nell’interesse di tutti.

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