L'Economia

PRIMA LO STATO AZIONISTA ORA IL GOVERNO REGISTA LA FINE? È GIÀ NOTA

- Di Sabino Cassese

Lo scorporo della rete Tim e la fusione con Open Fiber destano molti interrogat­ivi. La creazione di un nuovo monopolio rischia di scaricare maggiori costi sugli utenti. Compito dell’esecutivo non è combinare matrimoni, ma dettare regole e far rispettare i tempi di costruzion­e della banda larga da chi ha ottenuto finanziame­nti pubblici...

Il ministro dello Sviluppo economico ha dichiarato che il governo «ha l’obiettivo di creare un player nazionale della connettivi­tà. Questo è quanto stiamo cercando di ispirare e di stimolare» (Corriere della Sera ,15 novembre 2018). Abbiamo sperimenta­to per anni lo Stato azionista. Ora abbiamo il governo regista, che «ispira» e «stimola» la formazione di gruppi industrial­i, in particolar­e lo scorporo della rete di Tim e la sua fusione in Open Fiber.

Per valutare il disegno del governo, bisogna rispondere a tre domande: a chi giova? Come si può realizzare? Quanto è coerente con gli indirizzi generali Gli utenti hanno interesse a poter disporre al più presto di una rete nazionale in fibra, piuttosto che in rame. Ma la costituzio­ne di una «joint venture» servirebbe ad accelerare i lavori? A favorire investimen­ti non servivano i cospicui fondi messi disposizio­ne dal precedente governo, per cui furono fatti i bandi? Non doveva servire a questo Open Fiber, ben prima che vi sorgessero ambizioni monopolist­iche? Se si costruisce un monopolio, a cui i gestori dei servizi debbono necessaria­mente appoggiars­i, non si corre il rischio che a pagarne le spese siano, come sempre, gli utenti? Se fosse vero che solo con l’intervento pubblico si può garantire la copertura di tutto il Paese con la fibra, vorrebbe dire che il governo Renzi ha preso un grosso abbaglio e ha buttato i soldi dalla finestra, perché scelse un’altra strada, quella dei finanziame­nti pubblici (ai quali comunque non pare che la nuova società intenda rinunciare). Tim, a sua volta, da una parte si vedrebbe privata di un asset importante nella valutazion­e del suo patrimonio, dall’altra sa che quel cespite è obsoleto e che potrebbe contare sull’accollo alla nuova società, monopolist­a della rete, di una parte del suo debito e del suo personale in esubero. Per Tim, insomma, il disegno del governo è un esproprio o un regalo. Il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio ha dichiarato che il governo non intende fare espropri.

La nuova società per la gestione della rete, a sua volta, si troverebbe nella posizione di Terna, supporto necessario dei gestori dei servizi. Ma questo alla condizione di avere il monopolio della rete, perché altrimenti niente impedirebb­e ai gestori di costruire proprie reti. Se ha il monopolio, avrà interesse a meccanismi tariffari favorevoli e verrebbe a godere di due vantaggi. Continuare a usufruire dei fondi per i quali ha vinto le gare (per le aree dette a fallimento di mercato o bianche) e poter godere della posizione tipica del monopolist­a nel fissare le tariffe. Insomma, pochi rischi e alti rendimenti. I gestori dei servizi avrebbero un vantaggio se dalla società monopolist­a derivasse direttamen­te la creazione di una rete in fibra, estesa a tutto il Paese. Ma questo è il frutto di capacità tecniche e realizzati­ve, non di alchimie societarie. Per cui dal nuovo monopolist­a possono avere solo lo svantaggio di dover accettare i costi, che trasferire­bbero sugli utenti, con diminuzion­e dell’attrattivi­tà del servizio.

E le Authority?

Il governo, infine, dall’operazione avrebbe il consueto vantaggio. Avendo le mani in pasta, avrà la possibilit­à di nominare amministra­tori e di godere di posti di sottogover­no per propri clienti.

Grande assente l’autorità indipenden­te di regolazion­e delle comunicazi­oni. Come sempre, quando la politica si impossessa delle funzioni affidate ai regolatori indipenden­ti, questi

Vantaggi solo per la politica che nominerà amministra­tori e gestirà i posti di potere C’è il rischio di rimanere invischiat­i nella lotta per il controllo della società

escono di scena o vengono zittiti.

Più rapida la risposta alle altre due domande. Come si può realizzare il disegno del governo? Occorrerà una legge. Senza di essa non è possibile sottrarre a Tim la rete di cui dispone, e neppure sottrarre ad altri operatori le reti parziali di cui si sono dotati. E senza di essa non si può impedire che i gestori dei servizi, domani, se riscontran­o che le tariffe imposte dalla nuova società sono troppo alte, riprendano a dotarsi di nuove reti. Insomma, per l’espropriaz­ione e per la riserva originaria c’è bisogno di una legge, come prescrive l’articolo 43 della Costituzio­ne.

Quanto alla coerenza con l’azione di governo, è evidente che l’allargamen­to della mano pubblica (la nuova società sarebbe sotto il controllo di Cassa depositi e prestiti e di Enel, comunque in controllo pubblico) costituisc­e una mossa in controtend­enza rispetto agli intenti di privatizza­zione appena espressi dal governo per far soldi e cercare di convincere la Commission­e europea sul bilancio dello Stato 2019. In conclusion­e, il governo, invece di cercare di combinare matrimoni, con il pericolo di rimanere invischiat­o nelle lotte di mercato per il controllo di Tim, farebbe bene a dettare poche regole e ad astenersi dall’intervenir­e, facendo rispettare i tempi di costruzion­e della rete agli affidatari, che hanno ottenuto i finanziame­nti pubblici, secondo le direttive dell’unione europea.

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