PERNIGOTTI, LA TV E IL TAGLIO DELLE TASSE SCOMPARSO
Basta un numero, 20%, per capire che la strada più indicata per favorire la crescita è una soltanto: tagliare le tasse. Tutti a parole ne sembrano convinti. Ma quel numero, sottolineato ancora una volta da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi lo scorso 11 novembre sul Corriere della Sera, molti lo dimenticano. Ai tempi di Keynes, la tassazione e la spesa in molti Paesi erano, appunto, attorno al 20 per cento del Prodotto interno lordo. Oggi sono la metà del Pil. Eppure la manovra varata dal governo sulle imposte prevede il contrario. Non solo non si tagliano le tasse, ma per le imprese addirittura aumenteranno. A certificarlo ci ha pensato l’istat: l’incremento sarà del 2,1%. Nonostante l’introduzione della tassazione agevolata sugli utili reinvestiti e l’estensione del forfait al 15% per le partite Iva con ricavi o compensi fino a 65.000 euro. La manovra si accompagna, infatti, all’abolizione dell’ace (l’aiuto alla crescita economica), quel bonus fiscale che favoriva la patrimonializzazione delle piccole e medie imprese. Una decisione che spingerà le aziende a crescere a debito invece che rafforzandosi. Senza contare che è stato abolito il percorso che avrebbe portato alla flat tax sempre per le aziende.
Non è stato nemmeno rifinanziato il super-ammortamento. La sensazione è che al governo si sia perso quel canale che garantiva un dialogo tra chi materialmente è protagonista della crescita (le imprese) e chi deve garantire le migliori condizioni per lo sviluppo (i ministri). Il caso Pernigotti è esemplificativo di questo dialogo interrotto. Si vorrebbe imporre per legge che chi compra un marchio del made in Italy debba mantenere la produzione sul territorio. Proponimenti buoni per un comizio o una trasmissione televisiva. Ma, purtroppo, le imprese, il commercio e le economie sono meccanismi complessi che non si governano da uno studio televisivo.