GRECIA, BREXIT, ITALIA LE DIVERGENZE PARALLELE
Tre scontri di potere (due ancora in corso) dove l’ue fa valere il suo peso Il rispetto ferreo delle regole è l’unico collante per un sistema con tante anime Ma Bruxelles non deve dimenticare che umiliare i rivoltosi semina frutti velenosi
Da questa parte delle Alpi a volte è difficile percepirlo, ma per qualche settimana la saga attorno al bilancio italiano è passata in secondo piano nell’unione europea. I riflettori per ora sono tutti puntati verso un labile accordo sulla Brexit che minaccia di saltare in ogni momento. E quest’ultima in fondo sembra una vicenda talmente lontana dalla torsione che il populismo di casa nostra ha assunto nel rapporto con Bruxelles, da impedire di decifrare le lezioni comuni che le due vicende racchiudono. La prima è nell’atteggiamento che dall’inizio hanno assunto i rappresentanti delle istituzioni europee. Il negoziatore della Brexit Michel Barnier, un gollista francese che si fa un punto d’onore nel non pronunciare mai in pubblico una parola d’inglese, ha sempre rifiutato qualunque minima concessione nei confronti di Londra. Non solo perché poteva permetterselo, dato che da subito è stato chiaro come il lato europeo impugnasse il coltello dalla parte del manico e la Gran Bretagna avesse molto più da perdere. C’era una motivazione anche più profonda e meno tattica, nella rigidità estrema di Barnier. In fondo è la stessa, in circostanze diverse, con la quale l’unione europea ha affrontato la rivolta politica della Grecia di Alexis Tsipras nel 2015. E si tratta di un segnale importante, perché ricorda da vicino l’atteggiamento che tiene la Commissione europea in queste settimane nei confronti della Legge di bilancio del governo di Giuseppe Conte.
Il meccanismo
La regola è sempre la stessa: non muovere mai un passo verso le richieste Paese divergente; aspettare che il tempo lavori contro di esso fino a portarlo al punto di rottura; lasciare che il suo sistema politico di quel Paese sia prima innervosito, poi percorso dal panico, infine si dilani al proprio interno fino a cedere di schianto. In Grecia è successo, in Gran Bretagna sta accadendo, in Italia la partita è ancora aperta. Ma per certi aspetti le tre presentano alcune dinamiche simili. Può apparire un approccio cinico quello dell’unione europea, e senza dubbio lo è. Ma ha una spiegazione razionale che a Atene, a Londra o a Roma non è mai stata analizzata con sufficiente freddezza. Le autorità di Bruxelles non possono contare su un sistema politico come tanti altri, un popolo con un grado relativamente alto di omogeneità etnica, culturale, sociale, o economica. Al contrario le istituzioni europee sono chiamate a rappresentare un blocco di mezzo miliardo di persone che comprende al proprio interno culture, assetti istituzionali, vicende storiche, livelli di reddito e tassi di crescita completamente diversi fra loro. La storia degli ultimi settant’anni mostra che esiste un evidente vantaggio nel mantenere un buon grado di unità, ma la frammentazione è sempre la prima minaccia dietro l’angolo. Il solo modo di far funzionare un blocco sovranazionale del genere è mantenere un’estrema chiarezza sulle regole comuni. L’unione europea esiste perché non è soggetta a ricatti da membri divergenti al proprio interno e, quando questi si profilano all’orizzonte, risponde sfidando il ricattatore a mettere in pericolo in primo luogo s stesso con la propria minaccia. Lo fa anche se le ricadute possono essere dolorose – ma meno – per lo stesso sistema europeo. L’alternativa per l’unione europea sarebbe comunque peggio, perché distruggerebbe la sua credibilità.
Gli altri
La tattica è sempre la stessa: non muovere mai un passo verso il Paese che viola i patti stabiliti
È quanto è successo alla Grecia nel 2015, è quanto sta accadendo alla Gran Bretagna in questi giorni. Senza dubbio è quanto accadrebbe all’italia nei prossimi mesi, se il governo persistesse nella sua sfida attuale. Qualunque cosa ciascuno pensi su come si distribuiscono le ragioni e i torti in questa vicenda, questa è anche una lotta di potere e dall’inizio chi ne ha di più ha molte più probabilità di prevalere. Peraltro proprio un eventuale esito disastroso della Brexit, con un rifiuto dell’accordo nel parlamento di Londra e un’uscita disordinata dalla Ue, può produrre contraccolpi sull’economia europea che renderebbero ancora più precaria la posizione dell’italia. Partire da un gioco all’interno delle regole, non muoversi dall’esterno per demolirle, è l’unico modo di cambiare e far evolvere il sistema europeo a proprio favore. Ma l’altra lezione che l’unione europea può trarre dalla Brexit, dalla Grecia e dal caso italiano è forse troppo poco discussa a Bruxelles: quando un governo divergente capisce di non poter proseguire la sua rivolta – o addirittura prima ancora che già accada – le autorità europee devono ricordarsi che imporre un’umiliazione per impartire una lezione ai ribelli sarebbe il peggiore degli errori. Getterebbe i semi di un nuovo rancore, che può solo dare altri frutti velenosi tra non molto.