L'Economia

IL CONTO DELLA CRISI UNDICI BUCHI IN TRENTA MESI

- Di Stefano Righi

Dalla fallita quotazione in Borsa di Popolare di Vicenza alla richiesta di intervento per Carige Un sistema che fatica a trovare l’equilibrio dopo le troppe governance zoppe e i tanti «furbi»

Il 3 maggio del 2016 la Banca Popolare di Vicenza doveva quotarsi in Borsa. La data era stata fissata. La macchina stava lavorando a pieno regime per piazzare un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro. Si stavano definendo gli ultimi dettagli prima del road show e del collocamen­to delle nuove azioni a investitor­i e risparmiat­ori. Per gli organi di Vigilanza, su tutti Banca d’italia e Consob, che aveva da poco vistato il prospetto informativ­o dell’operazione da complessiv­e 714 pagine, tutte le regole erano state rispettate. Peccato che al momento della vendita, salvo qualche sparuto aficionado­s che si era ritirato a vivere nella giungla giapponese, quasi nessuno si fece avanti. La Banca Popolare di Vicenza finì così a gambe all’aria con tutto il suo vasto complesso di scheletri ben stivati negli armadi e colleziona­ti nei vent’anni in cui venne gestita da Gianni Zonin e Samuele Sorato. Veneto Banca percorse il medesimo sentiero poche settimane dopo: il 24 giugno 2016 la sua offerta pubblica di vendita registrò lo 0,1 per cento di adesioni per mano di un unico investitor­e, giungendo al medesimo punto. Finirono entrambe in liquidazio­ne coatta amministra­tiva e quanto (poco) di buono c’era ancora dopo vent’anni di corsa dissennata (per Veneto Banca attribuibi­le soprattutt­o ala coppia Vincenzo Consoli- Flavio Trinca), venne ricondotto in Intesa Sanpaolo.

Crac miliardari

Da allora sono passati poco più di due anni e mezzo, 30 mesi e quello che sembrava il crac del secolo, costato 20 miliardi di euro conteggian­do solamente il valore azzerato delle azioni in mano a oltre 200 mila soci e l’intervento del Fondo Atlante, si è rivelato essere solo il primo di una lunga serie di vergognose gestioni pseudo-managerial­i emerse nel frattempo e che da allora hanno presentato il conto.

In trenta mesi, in Italia, sono finite a gambe all’aria 11 banche. Dopo le due ex popolari del Veneto è toccato alla Popolare dell’etruria e del Lazio, alla Banca delle Marche di Massimo Bianconi e a Carichieti (finite nel porto sicuro di Ubi), a Cariferrar­a (salvata dalla Bper), alle Casse di Risparmio di San Miniato, Rimini e Cesena, che un anno fa sono state messe in sicurezza dal Crédit Agricole. La settimana scorsa è toccato alla Carige: ha chiesto aiuto (volontario) al sistema creditizio. E poi su tutte c’è il Monte dei Paschi di Siena.

Il governo italiano, con denaro pubblico, è intervenut­o soprattutt­o nella partita delle due banche venete (e ora aprirà i cordoni della borsa per rimborsare gli azionisti truffati) e del Monte dei Paschi di Siena.

Verso Bruxelles

Nel solo 2017 sono finiti a Siena 5,4 miliardi pubblici in cambio del 68,247 per cento del capitale dell’istituto senese («investire sarà un affare», disse l’allora premier Matteo Renzi). Oggi di quei soldi è rimasto meno di 1,1 miliardi di euro, ovvero il 68,247 per cento della capitalizz­azione di Borsa che venerdì scorso, 16 novembre, si aggirava attorno a quota 1,6 miliardi. E nessuno ha ancora pagato il conto. Il processo ai vertici della Popolare di Vicenza si aprirà il primo dicembre nella città berica: aggiotaggi­o e ostacolo alla vigilanza sono le accuse più ricorrenti. Delle partite aperte la più preoccupan­te è quella del Monte dei Paschi

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 ??  ?? Gianni ZoninHa guidato la Popolare di Vicenza dal 1996 al 2015 Vincenzo ConsoliPer 26 anni punto di riferiment­o in Veneto Banca
Gianni ZoninHa guidato la Popolare di Vicenza dal 1996 al 2015 Vincenzo ConsoliPer 26 anni punto di riferiment­o in Veneto Banca

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