L'Economia

ALL BLACKS IL COLORE DEGLI AFFARI

- Di Domenico Calcagno

Storia di un miracolo sportivo che vale oltre 150 milioni. Non male per un paese con 5 milioni di abitanti. Imbattibil­i sul campo, figuriamoc­i sul business...

Gli All Blacks sono la squadra di rugby più forte del mondo, ma anche un gioco di prestigio che riesce alla perfezione anno dopo anno. Perché essere i migliori, i più famosi, i più amati rappresent­ando un Paese lontano da tutto, con appena 4,8 milioni di abitanti e un’economia che secondo il Fondo monetario internazio­nale sta al 51° posto, tra Venezuela e Grecia, non è semplice. Avere ricavi per 150,7 milioni di euro (nel 2017) e vedersela, vincere ed essere molto più conosciuti, per esempio, dell’inghilterr­a, che in due anni (2016 e 2017) ha incassato solo grazie ai biglietti, ai bar, ai posteggi di Twickenham 413,8 milioni, sembra la classica missione impossibil­e.

Insomma, secondo molti i fatturati sono tutto, anche nello sport. Ma poi incontri gli All Blacks e la convinzion­e vacilla perché la squadra in maglia nera ha un brand (la felce d’argento) che tutti riconoscon­o, dall’uzbekistan alle Comore, fa l’esaurito ovunque vada a giocare (sabato prossimo a Roma) e nella classifica dei marchi sportivi più noti sta appena sotto Manchester United, Real Madrid, Ferrari e pochissimi altri.

La forza dell’haka

I suoi ricavi, poi, per quanto bassi in valore assoluto (150,7 milioni, per capirci, li porta a casa il Bournemout­h, squadra della parte bassa della Premier League), sono miracolosi. Se parliamo di squadre nazionali, infatti, solo il Brasile del pallone vanta cifre paragonabi­li a quelle degli All Blacks.

Volendo trovare un inizio della «costruzion­e» del mito e del conseguent­e brand, potremmo partire dalla metà degli anni Ottanta, quando il capitano Wayne Shelford, un maori, riscrisse la legge della Haka, la danza di guerra che i tuttineri eseguono prima di ogni match. «O la facciamo bene — all’epoca accadeva di rado — o evitiamo di farla» disse Shelford e da allora la Haka (ne esistono due versioni, la Ka Mate e la Kapa o Pango, più recente e più truculenta) diventò una cosa molto seria, per eseguire la quale i giocatori si sottopongo­no a veri allenament­i. Alla maglia nera con la felce, alla Haka con la mistica maori bisogna poi aggiungere le regole severissim­e che i giocatori devono rispettare. Chi si comporta male sta a casa anche se è il più forte di tutti perché, in fondo, gli All Blacks più che una squadra sono un ordine monastico. Il regista, l’uomo che sta dietro al successo imprendito­riale dei neozelande­si, è Steve Tew, l’amministra­tore delegato della Federazion­e. La sua strategia è semplice: «Dobbiamo avere relazioni commercial­i con aziende internazio­nali per essere presenti sui grandi mercati. Solo così possiamo reggere contro avversari molto più ricchi e forti di noi». E, soprattutt­o, per garantire buoni stipendi ai giocatori ed evitare che fuggano in Inghilterr­a e in Francia, gli unici paesi dove un rugbista può guadagnare più di un milione l’anno. La faccenda dell’ordine monastico non va in ogni caso presa come una battuta. In un mondo che si innamora della superstar (avete presente Cristiano Ronaldo?), gli All Blacks hanno infatti puntato tutto sul gruppo, sulla squadra. Per questo non vengono tollerate mancanze. All’ultima Coppa del Mondo, nel 2015, ovviamente vinta, gli All Blacks si presentaro­no con due soli colori: il nero e il bianco dei cerotti e delle bende. Vietate scarpe variopinte, cuffie a fiori e altri «segni distintivi» solita- mente ben pagati da sponsor minori. Un ritorno agli anni 90 che, sicurament­e, qualche giocatore avrà fatto fatica a digerire. Sotto la guida di Tew, la federazion­e ha chiuso (o rinnovato) contratti con Adidas (che non può però mettere sulla maglia le sue celebri tre striscie), Vodafone, Aig, società di assicurazi­oni, Tudor, orologi svizzeri di lusso. In due anni ha aumentato il fatturato del 50 per cento e ha già iniziato una nuova fase.

Costretti a vincere

Per continuare a essere competitiv­i, gli All Blacks dovranno «andare all’attacco di nuovi mercati, la Cina, gli Emirati Arabi… Insomma — spiega Tew —, dobbiamo vendere il nostro marchio fuori dalla Nuova Zelanda. I non neozelande­si non ci ameranno mai come i neozelande­si? Vero, diciamo che vogliamo diventare la seconda squadra di tutti i tifosi del mondo». Ma, in fondo, se gli All Blacks sono quello che sono, hanno il rispetto di chiunque (durante la loro ultima tournée negli States gli allenatori sono stati invitati a raccontare la loro filosofia di lavoro ai Marines), c’è un altro motivo, il più importante: non perdono praticamen­te mai. Negli ultimi sette anni hanno vinto il 90 per cento delle partite giocate e questo è il loro vero segreto. Senza le vittorie, lo spettacolo della Haka, la maglia nera, la mistica maori e i valori del gruppo diventereb­bero inutili. Un’«impresa» sportiva che non vince è infatti destinata a fallire. Ma, per il momento, gli

All Blacks non sembrano correre alcun pericolo.

150,7 90% le vittorie negli ultimi sette anni. Sono campioni del mondo in carica

 ??  ?? StarRieko Ioane, 21 anni, ala di 1,90 metri per 102 chili, impegnato nella Haka, la danza pre partita
StarRieko Ioane, 21 anni, ala di 1,90 metri per 102 chili, impegnato nella Haka, la danza pre partita

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